Un europeo accreditato alla Trump Tower e la morte dell'uomo di Davos
Lo sherpa che vuole fare l’emissario di The Donald in Europa
Milano. Il via vai alla Trump Tower è già leggenda, il presidente eletto Donald Trump lo illumina con i tweet e i punti esclamativi, mentre il Congresso inizia con le sessioni per le audizioni dei nominati della nuova Amministrazione, tra polemiche, commissioni etiche, conflitti di interesse, antichi scheletri e promesse ancora da mantenere. Si prova a fare ordine nel cerchio magico di Trump: Mike Allen, ex mattatore del Playbook di Politico ora redivivo con la newsletter Axios, introduce alcune categorie, la famiglia, i pensatori, chi fa, chi parla, chi esegue, in attesa che ogni tassello si sistemi, tra il “grilling” dei senatori in commissione (s’è iniziato con il contestato Jeff Sessions, nominato procuratore generale), la conferenza stampa di Trump prevista per oggi (non ne tiene da luglio) e la battaglia parlamentare sull’Obamacare. Ma il via vai nel celebre headquarter newyorchese di Trump non si ferma, ci sono ancora molte caselle da riempire, molti profili da studiare e sistemare nel posto corretto. Nell’Europa che osserva, mezza stordita, la costruzione della presidenza Trump in questi giorni s’è parlato di Ted Roosevelt Malloch (discendente di Theodore Roosevelt), un diplomatico inglese che ha già incontrato il team Trump – su suggerimento del solito Nigel Farage, ex leader degli indipendentisti britannici – e che domenica al Mail diceva di essere l’unico nella lista dei papabili ambasciatori dell’America trumpiana per l’Ue, ma di non aver ricevuto un’offerta di lavoro ufficiale.
Fare previsioni sulle scelte di Trump è un azzardo che nemmeno i collaboratori più stretti fanno più, ma prima di recarsi in America, Malloch ha spiegato al londinese City A.M. perché è il candidato perfetto per questo ruolo, cominciando con una dichiarazione che sintetizza tutto, il suo percorso, quello di Trump, la possibilità di lavorare insieme: “L’uomo di Davos è morto”, ha detto Malloch (considerando che l’ospite più atteso della kermesse svizzera è il cinese Xi Jinping, qualche dubbio in effetti viene). Il consenso post muro di Berlino è finito, dice Malloch, “andare in giro a dare del razzista a chi è contro l’immigrazione non è utile. Non ci sono razzisti, ci sono nazionalisti”. Ex docente di Oxford, consigliere dell’Institute of Economic Affairs, durante la Guerra fredda Malloch (che ha 64 anni) lavorava come ambasciatore a Ginevra in istituzioni legate all’allora Comunità europea. Conosce Trump da tempo, lo ha consigliato sulle questioni europee durante la campagna elettorale, come ha appena raccontato nel saggio Hired: An Insider’s Look at the Trump Victory, e dice di essere un grande sostenitore dell’alleanza transatlantica. Soltanto che, nella visione di Malloch, Washington non deve parlare con Bruxelles, ma ristabilire rapporti diretti con ogni stato sovrano: è un mestiere un po’ più laborioso, ma permette di saltare l’intermediazione delle élite, delle istituzioni che non rappresentano nulla, e far dialogare i popoli, che è quello che Trump vuole.
Secondo Malloch, “il pendolo” è ora verso “il nazionalismo” dopo anni di “globalismo elitista”: “Questo trend è percepito come un problema per la governance e la democrazia, ma in realtà spinge verso un capitalismo più inclusivo, una maggiore partecipazione e la riaffermazione della sovranità nazionale”. Malloch scommette che il chiacchiericcio sul protezionismo trumpiano sia esagerato, il presidente eletto crede in “un capitalismo basato sul mercato e giusto” che deve essere “gestito”, per evitare che la globalizzazione continui a offrire benefici soltanto ai pochi delle super élite. Il messaggio lo conosciamo, Malloch lo declina con i toni più rassicuranti che trova, dice addirittura che non c’è rabbia ma c’è speranza, che in queste ore di tramonti obamiani è una parola che fa venire la malinconia, si definisce europeista convinto, ma in un senso che dev’essere andato da un’altra parte assieme al pendolo, perché le parole più dure Malloch le usa con chi si lamenta della Brexit, gli europeisti, i cosiddetti “Bremoaners”: “Piantatela di lagnarvi, e salite sul treno della Brexit”.