Ecco cosa sa l'intelligence americana su Putin e Trump
Il direttore della National Intelligence ha detto alla commissione che i servizi hanno concluso con “un alto grado di fiducia” che l’ingerenza russa sia stata fatta a danno della Clinton
Milano. Non ho niente a che fare con la Russia, sbraita esasperato Donald Trump, mentre sulla rete va forte l’hashtag #watersportsgate, ironia suprema su quelle “golden showers” che il presidente eletto avrebbe organizzato in un hotel di Mosca con alcune prostitute arruolate con l’unico obiettivo di macchiare il letto in cui avevano dormito, durante una visita ufficiale, gli Obama (Trump smentisce, dice “sono germofobo, credetemi”, e chiude la questione così). Il dossier pubblicato dai media americani – redatto da una ex spia inglese – ha fatto infuriare Trump e allo stesso modo la Russia, che di questa vicenda è protagonista assoluta (di tutto il trumpismo, forse: lo scopriremo), che liquida le illazioni fabbricate ad arte con un impreciso “sembra di stare in ‘Pulp Fiction’”. Probabilmente a breve queste 35 pagine finiranno ignorate come spesso è capitato in passato con questioni ancor più controverse sul conto di Trump, ma mentre si valutano i vari gradi di perversione del presidente eletto e il ruolo del suo team nei contatti con l’entourage del Cremlino, quel che conta è cosa sta accadendo nel mondo dell’intelligence americana. Quella ufficiale, s’intende, ché è questo il punto dirimente nella gestione dei rapporti con la Russia.
Quando il presidente uscente, Barack Obama, ha deciso di sanzionare la Russia ed espellere diplomatici russi alla fine dell’anno scorso, si è mosso sulla base di prove che gli hanno fornito l’Fbi e la Cia, che erano state definite di “alta qualità”. Trattandosi in parte di materiale classificato, le cosiddette “pistole fumanti” non sono state rese pubbliche, ma venerdì scorso, durante un incontro alla Trump Tower durato due ore tra i vertici dell’intelligence americana e il presidente eletto, i dettagli dell’ingerenza della Russia nella campagna elettorale per la Casa Bianca sono stati esposti e spiegati – e poi il report è stato pubblicato. All’interno di questo documento, ci sono due pagine che fanno riferimento al dossier che è stato fatto circolare ieri da Buzzfeed, il che dà un minimo di credibilità a quei fatti, frutto del lavoro di un’agenzia privata che, scrive il Wall Street Journal, sarebbe stata interpellata sia dai democratici sia dai repubblicani per far luce sul ruolo del Cremlino nello svolgimento della campagna elettorale. Il documento ufficiale dell’intelligence consta di 25 pagine e spiega come Vladimir Putin, presidente russo, abbia agito, attraverso cyberattacchi, a detrimento della candidatura di Hillary Clinton, aiutando così la corsa di Trump.
Il report non stabilisce che con questa ingerenza la Russia ha determinato la vittoria di Trump – come potrebbe? – ma nelle sue conclusioni dice: “Putin e il governo russo aspiravano ad aiutare le possibilità di elezione del presidente Trump quando possibile, screditando il segretario Clinton e contrastandola pubblicamente sfavorendola rispetto a lui”. Il vicepresidente eletto Mike Pence, che era presente all’incontro con l’intelligence, ha raccontato che la conversazione è stata “molto rispettosa”, mentre Trump ha attaccato le agenzie di intelligence, accusandole di essere state fallaci in passato (vedi le armi di distruzione di massa). Dopo l’incontro il presidente eletto ha ammesso: “La Russia, la Cina e altri paesi cercano costantemente di inserirsi nella cyberinfrastruttura delle nostre istituzioni e organizzazioni, incluso il Democrat National Committee”. E ieri, nella conferenza stampa attesissima, ha detto che pensa che la Russia sia l’artefice dei cyberattacchi ai democratici che hanno influenzato il voto.
A che punto è allora l’intelligence nella dimostrazione dell’ingerenza russa, al di là delle strumentalizzazioni politiche? James Comey, capo dell’Fbi uscente e bestia nera dei democratici perché a pochi giorni del voto lanciò un’inchiesta sulle email della Clinton salvo poi ammettere che non c’erano prove sufficienti, martedì ha testimoniato davanti al Senato. Comey ha detto che anche il Republican National Committee ha subìto degli attacchi informatici, ma che nulla era stato poi reso pubblico, e che gli attacchi ai democratici erano stati “più vasti e più profondi”. Il direttore della National Intelligence, James Clapper, ha detto alla commissione che i servizi hanno concluso con “un alto grado di fiducia” che l’ingerenza russa sia stata fatta a danno della Clinton, mentre il capo della Cia, John Brennan, ha detto di aver chiamato il suo omologo in Russia dicendogli: “State giocando con il fuoco”. Ora il Congresso chiede a gran voce una commissione bipartisan in stile 11 settembre che indaghi sull’ingerenza russa, ma mentre si attende l’insediamento di Trump molti si chiedono fino a dove arriverà, e con che conseguenze, questo scontro epocale tra i servizi americani, quelli russi, e soprattutto la Casa Bianca.