Francia sottomessa
Non oppressi ma oppressori, così gli islamici hanno conquistato culturalmente il paese. Un’inchiesta
La Le Pen è stata tenuta in caffetteria alla Trump Tower, meno di Salvini che riuscì a spacciarsi per amico selfista del Cialtrone in chief, ma per la sua campagna elettorale, non si sa mai. E’ uscito con clamore un libro importante, che potrebbe pesare. “La Francia sottomessa” è il suo titolo. Autore Georges Bensoussan, un ebreo marocchino di grande talento, storico riconosciuto della Shoah, del sionismo e dell’antisemitismo europeo, e antropologo di rilievo non solo accademico, intellettuale combattivo ma estraneo al discrimine destra-sinistra, almeno nei suoi termini autentici (le caricature e le denigrazioni sono altra cosa). Bensoussan, con l’aiuto di un gruppo di collaboratori, ha cercato per diciotto mesi di dare voce a quelli che non hanno voce, che non è la solita solfa dei senza potere. E’ roba seria. Sharia, costumi islamici dominanti, intolleranze salafite negli ospedali, nei tribunali, negli uffici pubblici, nelle scuole, nei territori delle banlieue che una volta erano rosse e ora sono verdi, come il verde dell’islam.
Un’inchiesta con i fiocchi, tra sociologia e giornalismo, qui la chiamano storia immediata. Gli oppressi e i discriminati, obiettivi del “razzismo” e dell’islamofobia, ritratti come potenziali o reali oppressori che si muovono all’ombra dell’ideologia che li vittimizza e mostra la debolezza di un’eredità culturale e di un’identità nazionale in ritirata. La prima puntata era stata un caso enorme. Si chiamava “I territori perduti della République”, e sollevava il tema dell’antisemitismo islamista politico quattordici anni prima dell’attentato all’Hypercacher e quattro anni prima del rapimento, tortura e assassinio del giovane ebreo Ilan Halimi in una banlieue carceraria alle porte di Parigi. All’epoca Mohammed Merah, ricorda sul Figaro Alexandre Devecchio, frequentava le scuole di odio dei territori perduti, e nel 2012 ucciderà soldati francesi e bambini ebrei davanti a una scuola giudaica di Tolosa e a Montauban. Ora a due anni da Charlie Hebdo, a un anno e poco più dal massacro del 13 novembre, dopo Nizza e lo sventramento di padre Hamel a Saint-Etienne-du-Rouvray, e in vista dello scontro su chi comanderà le istituzioni in Francia, questa inchiesta promette di essere più che un caso, una bomba. Non è cambiato niente, dice Bensoussan, tutto è peggiorato. C’era già un ritardo di vent’anni, ora la Francia sottomessa si vede a occhio nudo, e fa paura. Si vede per chi vuole vedere. Un proverbio hindu, ricorda l’autore, dice: “Raccontami belle storie e io ti crederò”.
Ecco, non sono belle storie. Tra le élite mediatiche, il ceto politico gauchiste e moderato e la massa del popolo, comprese le classi medie, secondo Bensoussan, si è scavato un fossato. L’accusa di islamofobia e di razzismo fa paura: ostracismo sociale e intellettuale. Fa paura la reazione violenta degli islamisti: la maggioranza delle testimonianze raccolte sul campo è sotto pseudonimo. Fa paura la crisi degli schemi intellettuali e morali sui quali tanti hanno costruito le loro vite, spesso protette in quartieri ancora impermeabili alla presa di potere, dal basso, sociale, di islamici che odiano la Francia e il suo modo di vita e vogliono sottometterla con una “contaminazione lenta”, progressiva. Paura del pericolo: negarlo, nasconderlo sembra un modo di farlo sparire. La chiave interpretativa non è nuova, in particolare per i lettori di questo giornale e dei libri di Giulio Meotti: chi odia la società aperta, egualitaria, antirazzista, non sessista, liberale libertaria libertina, secolarizzata e illuminata fino alla completa scristianizzazione, sa usare le sue armi democratiche, persino quelle del jihad giudiziario, per scassinarla e sopprimerla.
Elisabeth Badinter, letterata, femminista, grande imprenditrice, musa ispiratrice di una gauche consapevole di sé, ha scritto la prefazione drammatica a un libro tragico e disperato. Finkielkraut lo accoglie con malinconia e passione. Vedremo come ne accoglieranno le diagnosi, i fatti accertati, il panorama tremendo che ne esce, gli elettori della presidenziale. Il silenzio, la denigrazione, il rifiuto pregiudiziale non sembrano più compatibili con la realtà del discorso pubblico in Francia. Ma c’è sempre modo di chiudere gli occhi, di voltarsi da un’altra parte e fare tante chiacchiere sul salario universale per tutti, il “farniente” come nuova prospettiva liberal-gauchista: “Proletari di tutti i paesi, riposatevi!”.