La demenza di boicottare Trump
John Lewis è un leone ma quando dice che non si riconosce in un presidente illegittimo dice una fesseria grandiosa. Contro la ballerina scozzese di seconda fila bisogna solo sbigliettare di più (smettendola di citare a vanvera il Cav.)
John Lewis è un leone. Nero, vasto, indomito, amico di Rosa Parks. Donald una ballerina scozzese di seconda fila che ha vinto una ricca lotteria per via del suo talento puttanesco. Se Lewis dice che non si riconosce in un presidente illegittimo, dice una fesseria grandiosa, rispettabile. Tuttavia è una fesseria. Avessi sottomano il leone gli direi due o tre cosette importanti, visto che l’illegittimo è un imitatore dotato, e altrettanto simpatico ma assai più pericoloso, del mio amico e precursore Berlusconi, il grandissimo Cav. Gli direi di fare attenzione, i boicottaggi portano male, le loro conseguenze possono durare fino a vent’anni, and counting come si dice in inglese. Se una ballerina arriva alla Casa Bianca, anche per i demeriti della compagnia di giro che ha provato ad opporglisi in entrambi i partiti della democrazia americana, invece di tirargli gatti morti bisogna chiamare un coreografo capace e organizzare un ballo di qualità superiore, che sbiglietti più del suo.
Che l’inaugurazione avvenga senza la solita pompa hollywoodiana, vabbè. Che le donne marcino il giorno dopo contro il puttaniere in chief, vabbè. Che i media facciano analisi freudiana, vabbè. Poi basta, non si può passare come in Captain fantastic alla celebrazione del compleanno di Noam Chomsky. I democratici e la loro America rischiano di diventare una famigliola disfunzionale, invece che un popolo di opposizione e un’alternativa credibile.
Negli anni del Cav. ho passato molto tempo a battagliare, per il mio paese, per lui e per le mie idee. Della battaglia faceva parte ingurgitare una quantità bestiale di colloqui, interviste, relazioni con i giornalisti americani e di altre nazioni che non si capacitavano dell’anomalia italiana e del conflitto di interessi. Non ne faccio i nomi perché ho misericordia anche se non sono Bergoglio. Lo facevo da ministro e portavoce del primo governo Berlusconi, poi da direttore del Foglio, di cui si diceva che era incredibilmente berlusconiano, viste le sue idee, i suoi promotori, la sua scelta truppa non berlusconiana, eravamo sempre in minoranza, o quasi sempre, a votarlo sotto elezioni, come dimostravano le nostre autoinchieste su come votano i foglianti. E allora venivano da questi strani animali per convincerci che Berlusconi andava boicottato, che il conflitto di interessi era la questione principale, e noi a rispondere che era una fesseria, che la politica italiana era stata costretta in carcere da magistrati codini, gli facemmo anche apposta un fascicolo storico del Foglio in inglese, pedagoghi come siamo, e che l’animale era spiegabile politicamente, sociologicamente, culturalmente, e il Cav. è un elemento di libertà di tono, è un campione della democrazia outspoken, uno che diceva le cose come gli venivano ma non sempre, anzi quasi mai, aveva torto.
Gli dicevamo: non state allo stereotipo della volgarità, una scemenza degna di élite che non sono élite. Quando i californiani elessero Schwarzenegger governatore, uno dei più onesti di loro, Jeff Israely di Time, mi chiamò e mi disse: hai vinto, non scriverò mai più un articolo contro l’outsider Berlusconi.
Gli dicevamo: Berlusconi sarà sostituito da qualcuno che non vuole mandarlo in galera, da circostanze che afferiscono alla politica non al moralismo virtuoso degli intellettuali posticci. Diffidate dei girotondi, dei boicottaggi, Moretti è carino ma non capisce niente di politica, e Berlusconi è a suo modo un uomo di stato, mentre i suoi avversari che elimina uno dietro l’altro sono dei leader spesso velleitari, pavidi, ignoranti nella loro pretesa culturale e morale. Il conflitto d’interessi è l’anima del capitalismo, l’anima del commercio, guardatevi in casa, gli dicevamo, pensate a Bloomberg che regna su Wall Street, alle lobby, ai cazzi vostri. Non ci hanno dato retta. Scrivevano coglionate bestiali. Non sapevano, non consideravano la storia italiana, erano convinti che fosse una battaglia tra gangster e gendarmi, e che il popolo elettore tifasse per i gangster. Ecco, si sono ritrovati in casa Trump, non il modello buono e mite ma la sua riproduzione ostinata e cattiva, con un riporto bestiale che a confronto la pelata ombreggiata del Cav. lo fa com’è noto somigliare a Mao Zedong, un’icona del male, ma un’icona indimenticabile come il Cav.
Per il Cav., come per Trump, c’erano molte ragioni a militare. Aveva preso i voti di Mirafiori compatti, più di quelli che sono bastati a Donald in Michigan. Era un uomo di spettacolo e di televisione, come quell’altro, e sapeva dire con semplicità le cose che persuadono anche i sassi. I suoi nemici dell’establishment erano antipatici agli italiani come Jeff Bush e Hillary sono risultati antipatici agli americani, sebbene Hillary abbia preso tre milioni di voti in più nell’inutile ma non insignificante voto popolare su base nazionale. Anche lui prometteva miracoli, una grande Italia, nuova, e ne faceva qualcuno con pragmatismo, era amico di Putin quando il suo imitatore portava i calzoni corti e giocava a golf, ma non portava l’occidente in dono a Putin, il contrario, portava Putin in dono alla Nato. Ah lo avessero ascoltato, capito, interpretato secondo i nostri consigli, ci avrebbero risparmiato l’onta dell’inaugurazione che adesso boicottano. Un demagogo che dice delle cose giuste, come la ballerina scozzese di seconda fila, con tutto il suo talento d’istrione, è pericoloso. Boicottarlo è insano, insane come si dice in inglese, demenziale. Preconizzare il suo fallimento generale è prematuro, e la Manning in libertà è già una cauzione di un paio d’anni per la sua popolarità. Contro il suo nazionalismo economico, il suo ordine mondiale disordinato e incurante del passato, ora insorgono i vecchi nemici della Nato e del mercati aperti. Vabbè, li accogliamo tra di noi, ma non stiano lì a boicottare il presidente eletto, domani o dopo presidente a tutti gli effetti. Gli diamo di nuovo la nostra solidarietà, ma li invitiamo a capire di che cosa parlano.