Per l'insediamento, il Messico regala a Trump l'uomo più pericoloso del mondo: El Chapo
Le polemiche tra il nuovo presidente americano e Città del Messico vanno avanti da mesi. Ma ora c'è una novità
Roma. L’avvocato di Joaquín Guzmán Loera, il narcotrafficante messicano noto come El Chapo, giovedì era da poco entrato nel carcere di Ciudad Juárez, per incontrarsi con il suo assistito, che è lì rinchiuso da oltre un anno. Guzmán, capo del cosiddetto cartello di Sinaloa, è il narcotrafficante più pericoloso del mondo, un artista dell’evasione e una fonte di infinite vergogne internazionali per il governo del Messico. L’avvocato, che si chiama José Refugio Rodríguez, era entrato da poco quando il carcere è andato in lockdown. Tutto bloccato, nessuno entra e nessuno esce, la visita al Chapo dovrà aspettare. Passano due ore, e quando finalmente il carcere riprende il suo funzionamento normale, l’avvocato scopre che il Chapo è su un aereo diretto verso l’America, e probabilmente non tornerà più in Messico. Con un blitz, poche ore prima la Corte suprema del Messico aveva rigettato le ultime richieste di appello che ancora impedivano l’estradizione del narcotrafficante negli Stati Uniti. La decisione del tribunale costituzionale è arrivata improvvisa, ha preso di sorpresa l’avvocato di Guzmán, il quale subito ha espresso la sua protesta ai giornalisti, e ha preso di sorpresa anche gli americani, che hanno ricevuto notizia del fatto che l’estradizione era in corso soltanto giovedì pomeriggio, a cose ormai fatte, come ha detto una fonte al New York Times. Probabilmente, nemmeno Guzmán si aspettava di essere estradato. Nelle foto, prima quelle del trasferimento per mano delle forze speciali messicane e poi quelle della presa in consegna da parte della Dea, l’antidroga americana, il potente narcotrafficante ha gli occhi sgranati e lo sguardo incredulo, come se non capisse cosa gli stesse succedendo. Gli Stati Uniti vogliono Joaquín Guzmán da oltre vent’anni.
Il Chapo fu arrestato per la prima volta nel 1993, quando ancora era un pesce piccolo nel mondo del narcotraffico. Evase meno di nove anni dopo, nel 2001, dopo aver corrotto tutta la prigione, nascondendosi in un carrello della biancheria. Da quel momento Guzmán iniziò una scalata al potere che lo rese il narcotrafficante più pericoloso e ricco del mondo, capo di un business multimiliardario fatto di laboratori clandestini, tunnel sotterranei per trasportare la droga negli Stati Uniti, navi, aerei. Dopo più di un decennio passato a umiliare i tentativi di arresto da parte delle forze dell’ordine messicane, Guzmán fu arrestato una seconda volta nel febbraio del 2014. Allora il presidente messicano, Enrique Peña Nieto, rispose con un diniego alle richieste americane di estradizione dicendo che il Messico non sarebbe mai stato un paese serio se avesse avuto bisogno del vicino del nord per tenere al sicuro i suoi detenuti più pericolosi.
Il Chapo, dissero sprezzanti i funzionari messicani, sarà estradato solo dopo aver fatto qualche secolo di prigione in Messico. Gli americani temevano di non poter contare sulla serietà del Messico: nel luglio del 2015 Guzmán scappa di nuovo, dopo aver fatto costruire dai suoi un tunnel lungo oltre un chilometro e mezzo che dalla doccia della sua cella lo porta alla libertà. L’ultimo arresto arriva nell’ottobre del 2015, e questa volta il Messico sembra pronto a cedere il suo trofeo più pregiato. Sveltisce le pratiche per l’estradizione, sposta il prigioniero vicino al confine, nel carcere di massima sicurezza di Ciudad Juárez, e infine orchestra il blitz per l’estradizione – nell’ultimo giorno della presidenza di Barack Obama, e giusto in tempo perché la notizia si diffonda venerdì, nel giorno della cerimonia di insediamento di Donald Trump come presidente degli Stati Uniti. La coincidenza non è sfuggita a nessuno. Un funzionario delle forze dell’ordine americano ha detto al New York Times che la sua impressione informata è che il tempismo dell’estradizione è stato “politicamente motivato”. L’avvocato Refugio Rodríguez ha sottolineato in un’intervista radiofonica che “il governo messicano ha usato [Guzmán] come trofeo per il nuovo presidente degli Stati Uniti”. Alcune persone informate sulla situazione giudiziaria del narcotrafficante, inoltre, hanno detto al Wall Street Journal che nelle ultime settimane le pratiche per l’estradizione erano state notevolmente accelerate. Insomma, il governo messicano ha voluto dare un segnale di buona volontà agli Stati Uniti nel giorno dell’insediamento del nuovo presidente.
Le polemiche tra Trump e Città del Messico vanno avanti da mesi, da candidato repubblicano prima e da presidente eletto poi che non ha perso occasione per criticare e umiliare i vicini del sud, i quali già sentono le conseguenze economiche delle nuove misure protezionistiche e di riduzione del commercio frontaliero che Trump intende inaugurare. Prima ancora di entrare in carica, The Donald ha causato al Messico una perdita di centinaia di milioni di dollari e di migliaia di posti di lavoro a causa delle aziende che per le sue minacce hanno deciso di non aprire fabbriche nel paese. Per rispondere meglio a Trump, Peña Nieto ha fatto all’inizio dell’anno un rimpasto di governo, reintegrando come ministro degli Esteri Luis Videgaray, che era caduto in disgrazia l’anno scorso proprio per aver favorito una visita di Trump in Messico. Con la consegna del Chapo, Città del Messico spera di lanciare un messaggio di collaborazione al nuovo presidente su un tema, quello della lotta al narcotraffico, che lui non ha quasi mai trattato. Joaquín Guzmán è ora nella prigione del distretto di Brooklyn, una delle più sicure d’America, dove affronterà il primo processo. E’ richiesto da altre cinque corti, in California, Texas, Arizona, Illinois e Florida.