Ecco compiuto l'ultimo passo di Erdogan per dare forma al suo autoritarismo
Solo il referendum separa il presidente dalla riforma che aspetta da anni. “Abbiamo un termine per questo: sultanato”, dice il presidente degli avvocati turchi
Roma.“Sono un marinaio e so che due capitani sulla stessa nave finiscono per farla affondare. Ci deve essere un uomo solo al comando”. Il primo ministro turco Binali Yildirim, sostenitore del presidente Recep Tayyip Erdogan, ha fatto appello al proprio passato marinaresco per giustificare la riforma costituzionale che metterà fine al suo stesso premierato, cancellando la figura del presidente del Consiglio, e darà superpoteri al presidente. La proposta di introdurre il presidenzialismo, una delle politiche-cardine del partito di governo turco Akp, è passata al vaglio della commissione parlamentare per gli Affari costituzionali il 9 gennaio e giovedì il Parlamento turco ha approvato in seconda lettura i primi sette emendamenti del pacchetto di 18 articoli. Il governo conta di arrivare all’approvazione finale entro il fine settimana. Se la seconda lettura dovesse confermare l’approvazione, rimarrebbe solo l’ostacolo del referendum popolare, che si terrà probabilmente ad aprile. L’ultimissimo sondaggio, pubblicato giovedì mattina dall’Università di Kadr Has di Istanbul, stima al 43 per cento la percentuale dei “sì” al presidenzialismo.
“Questa riforma andrebbe a legittimare una concentrazione di poteri che, di fatto, è già in corso da tempo – spiega al Foglio Massimiliano Trentin, docente del dipartimento di Scienze politiche all’Università di Bologna – con l’elezione diretta del presidente, la sua capacità di destituire il primo ministro in base alla sua volontà e la stretta fortissima di Erdogan sul partito”.
“Ogni passaggio costituzionale – continua Trentin – non è solo una questione simbolica ma influisce sull’effettiva capacità di governo: i sostenitori della riforma affermano che consentirebbe una maggiore stabilità e permetterebbe di realizzare i programmi di governo di qualsiasi forza vinca le elezioni. Ma gli emendamenti permetterebbero all’esecutivo di sovrastare il potere legislativo e soprattutto quello giudiziario, che in un paese come la Turchia ha sempre avuto un rapporto controverso con il governo”.
Anche Jean Marcou, direttore di Relazioni internazionali presso la facoltà di Sciences Po Grenoble, concorda con questa analisi e al Foglio conferma: “Il regime turco ha preso una svolta autoritaria da almeno sei anni, ma dopo le elezioni del 2014 si può notare uno scatto consistente in questa direzione”. L’approvazione della riforma legittima questi strapoteri acquisiti in maniera indebita, soprattutto dopo il tentato colpo di stato del 15 luglio scorso. “Il golpe mancato – continua Marcou – ha provocato un massiccio aumento della repressione e un’accelerazione del progetto di riforma, o per meglio dire, di trasformazione, dello stato turco. Erdogan si appoggia sulla legittimità del suffragio universale per arrivare a un’evoluzione semipresidenziale, non senza rapporti con il modello francese e anche americano. Ci sono però notevoli differenze: niente federalismo e soprattutto l’assenza di contropoteri che bilancino l’esecutivo. Il sistema giudiziario è stato riformato nel 2010 e sarà ridimensionato in maniera ulteriore. La sua indipendenza è limitata”.
Per portare a compimento il progetto, Erdogan ha bisogno di una maggioranza dei tre quinti dei seggi dell’Assemblea, 330 su 550, la soglia necessaria per indire un referendum sugli emendamenti costituzionali. L’Akp, che dispone di 317 parlamentari, deve trovare almeno 13 voti per raggiungere il quorum. Il presidente turco ha trovato una sponda nel Partito di azione nazionalista (Mhp). “Si ripete quanto si era verificato durante l’alleanza tra curdi e Akp”, ricorda il professor Trentin. “Erdogan negli anni scorsi ha tentato di costruire il suo progetto presidenzialista tramite un’alleanza con le forze curde, che poi si sono opposte. Ora il presidente ha spostato il baricentro delle alleanze politiche verso l’ultradestra. Ma il partito nazionalista di Bahceli avrà abbastanza disciplina per serrare i ranghi?”. Metin Feyzioglu, presidente dell’Unione delle associazioni degli avvocati turchi, non ha avuto dubbi nel descrivere la riforma: “Nei nostri libri abbiamo un termine specifico per questo: è sultanato”. Il referendum, secondo Feyzioglu, potrebbe essere “l'ultima votazione libera” in Turchia.
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