Non lagna, ma resistenza. Trump il circo Barnum
I lagnosi alla Serra chiamano lagna la resistenza dovuta al neopresidente americano, questo freak Unamerican. Sculacciate
Quella di Philip Roth contro Trump appare come la “lagna di un vecchio liberal”, scrive Michele Serra. Non ha la forza smagliante delle urlate di Sabina Guzzanti contro Berlusconi, che si vantava di pagare un mucchio di tasse, ed era vero, e che portava Putin alla Nato invece che la Nato a Putin, e che si comportava da internazionalista liberale, con un rassicurante fondo democristiano per di più e non come un nazionalista autoritario, un leader totalitario nell’intima fibra della sua colossale ignoranza di storia e lingua. Abbiamo capito, a sinistra si trumpetta in nome della lotta contro la globalizzazione e le diseguaglianze che non ci sono, va bene, leggetevi Roberto Bolaño sulla disperante sterilità filistea della classe media, aggiungete classe media de sinistra, e fatevi un’opinione con uno scrittore per voi di culto, e piuttosto bravino, direi alla memoria. Sono anch’io classe media, e sono conservatore. Il muro col Messico mi fa ridere, il law and order dell’american carnage mi sembra una panzana Blut und Boden, sangue e territorio, buona per Chicago e dintorni, l’isolazionismo e l’arte della truffa caso per caso nel mondo mi toglie il respiro dell’America che conosco e che amo, ma definanziare l’aborto va benone, benissimo, abbassare le tasse è prodigioso, e mi dispiace per la religione superstizione dei Sioux ma l’idea jacksoniana di autorizzare gli oleodotti mi sembra addirittura ragionevole, il bando agli islamici una stronzata inutile ma dire islam all’islam una cosa buona e giusta.
Del conflitto di interessi Trump dice esattamente quello che diceva Berlusconi, alla gente frega niente, ma lui non è un industriale della televisione che ha creato un mercato della pubblicità ed era estraneo all’establishment della finanza e perciò vicino al Partito socialista e alla Democrazia cristiana, è un avventuriero del real estate e dei casinò che ha fallito più volte costruendo sulla opacità del business borderline le sue fortune, confermate e irrobustite da performance televisive degne di Beppe Grillo, non un produttore di tv ma un prodotto della tv, il che è diverso, e non vuole rivelare il contenuto del suo reddito con la remissione al popolo dei documenti fiscali. Farà la migliore Corte suprema della storia, ma resta un imbroglione in un contesto di imbrogli a ripetizione che in lui trovano alimento e spinta. E questa, con tutto il contraddittorio della realtà, non è la lagna di un vecchio liberal, è la rabbia politica di un berlusconiano che di lagne ne ha sopportate parecchie in vent’anni, comprese quelle di Serra e di quei dementi della stampa estera liberal al seguito di Sabina che ora si ritrovano un altro Schwarzenegger, ma globale e lui sì terminator. Trump non è un prodotto della destra americana, che giace in situazione tra l’ozioso e l’irrilevante dopo aver tradito lo slancio politico neoconservatore ed etico dell’Amministrazione Bush, dopo l’undici settembre. E’ un prodotto della retorica della diversità e, come osserva David Brooks, in tutta la sua magnificenza e irriducibilità la manifestazione di Washington delle donne esalta una giusta resistenza al cialtrone ma riproduce i meccanismi della sconfitta dell’America di Obama. Ai quali va aggiunto il Kgb in combinazione con l’Fbi, il cui direttore-killer è stato appena riconfermato, unica seria riconferma di questa Amministrazione, et pour cause. Non era stato Trump stesso, in campagna elettorale, a dire che il colpo del poliziotto repubblicano alla sua avversaria connotava il giorno della svolta nella campagna, a undici giorni dal voto?
Trump non è come Berlusconi la risposta ottimista e reaganiana a un’anomalia opaca, quella della crisi dei partiti sotto la sferza di poliziotti-magistrati oggi esclusi dal consesso civile. E non è nemmeno un’anomalia, ma il rischio calcolato della democrazia di massa americana. Invece di pensare alle parole smaglianti di Roth come alla lagna di un vecchio liberal, ho ordinato via Amazon “L’uomo di fiducia”, l’ultimo romanzo di Herman Melville che contiene la chiave storica per capire questo profetismo da golf club. I lagnosi d’antan, quelli che non hanno voluto accettare l’originalità e l’allegria liberale legittima di un esperimento italiano inevitabile, ora diventano realisti e decisionisti in nome di vecchie categorie nate obsolete del finto anticapitalismo pikettiano, e con la malinconia spinoziana, “la tristezza di sapere che non si è altro che sé stessi” (citazione da un bel libro di monsignor Bruguès), chiamano lagna la resistenza dovuta al signor Unamerican, al berserk, a questo freak del vecchio circo Barnum che si erge a tutela degli affari di famiglia, nascondendosi dietro l’attonito Israele con le arti del con man, del truffatore professionale incallito e scaltro.