Il paese più popoloso del mondo ha un problema di scarsa popolazione
In Cina si parla di crisi demografica a oltre un anno dalla fine della politica del figlio unico. La bilancia delle nascite è in squilibrio, e il sistema diventerà sempre meno sostenibile
A oltre un anno dalla fine della politica del figlio unico, la Cina è in crisi demografica. Non perché le nascite sono troppe, come temevano decenni fa i burocrati comunisti, ma perché sono troppo poche. Sembra strano sentir parlare di crisi delle nascite in relazione al paese più popoloso del mondo, dove secondo tutti gli standard immaginabili, almeno nelle metropoli, il problema sembra il sovraffollamento più che il suo contrario. Eppure il Consiglio di stato cinese mercoledì ha presentato un piano strategico in cui si disegna un quadro preoccupante dello stato della demografia del paese. Secondo il documento, la popolazione raggiungerà il suo picco nel 2030, quando i cinesi saranno 1,45 miliardi (la previsione dell’Onu è leggermente più bassa, 1,37 miliardi, ma comparabile). A partire dal 2020, tuttavia, il tasso di crescita della popolazione inizierà a rallentare, e per il 2030 a diminuire in maniera sostenuta: il numero di donne in età fertile inizierà a calare, mentre gli anziani costituiranno una fetta sempre più abbondante della popolazione. Se l’anno scorso i cinesi con più di 60 anni erano il 15 per cento della popolazione, nel 2030 saranno circa il 25 per cento. Al tempo stesso la popolazione lavorativa tra i 15 e i 59 anni calerà di oltre 80 milioni (già l’anno scorso è calata di 3,49 milioni, secondo l’Ufficio nazionale di statistica) e sarà più vecchia: i lavoratori tra i 45 e i 69 anni saranno circa il 36 per cento dei lavoratori totali.
E la politica dei due figli che avrebbe dovuto raddrizzare le sorti demografiche del paese? La Cina ha avuto l’anno scorso il più alto numero di nascite dal 2000, 17,86 milioni di nuovi bambini, ma: 1) anche questo tasso di crescita non è sufficiente per riequilibrare la bilancia demografica; 2) la politica dei due figli sembra non aver sortito particolare effetto: secondo dati della Commissione nazionale per la salute e la pianificazione familiare, negli ultimi due anni il numero di coppie cinesi che ha avuto un secondo o un terzo figlio è rimasto stabile al 45 per cento. Il governo, con una mossa molto applaudita, nel 2013 aveva rilassato la politica del figlio unico per alcune famiglie (per esempio quella in cui in entrambi i genitori erano figli unici a loro volta) e poi nel 2015 l’aveva eliminata del tutto.
Un aumento del tasso delle nascite alla fine si verificherà, ha scritto il Consiglio di stato, a partire dal 2020: nel decennio tra il 2020 e il 2030 il tasso di fertilità passerà da 1,5 figli a donna del 2015 a 1,8 figli, ma rimarrà comunque più basso del tasso di 2,1 necessario per un sano ricambio generazionale.
Lo squilibrio della bilancia demografica porterà in Cina problemi che noi del Vecchio continente conosciamo bene: scarsezza di forza lavoro e un peso eccessivo del sistema pensionistico sulle casse dello stato. I cinesi vivranno anche un po’ meglio: si ridurrà il divario tra maschi e femmine, creato dagli aborti selettivi al tempo della politica del figlio unico (se nel 2015 c’erano 113,5 maschi per ogni cento femmine, i maschi si ridurranno a 107 nel 2030) e aumenterà di qualche anno l’aspettativa di vita. Ma la stabilità del sistema sarà in pericolo, e il governo comunista ha annunciato che correrà ai ripari con misure riguardanti “la tassazione, la cura dei bambini, l’educazione, il welfare e le politiche sulla casa”. Di eliminare completamente il limite massimo di due figli per coppia, per ora, non se ne parla.