Chi paga il muro col Messico? Gli americani
Il Messico non pagherà per l'opera annunciata con grandi fanfare. Ma lo staff di Trump forse ha trovato una soluzione alternativa: i dazi alle importazioni
New York. Grande è la confusione lungo il confine fra gli Stati Uniti e il Messico, urge ricapitolare i fatti salienti. Con prevedibile fanfara, Donald Trump ha firmato l’ordine esecutivo per la costruzione del muro, mandando ai confinanti un conto fra i 15 e i 20 miliardi di dollari che si vedrà poi come verrà saldato. Con altrettanto prevedibile fanfara, il presidente messicano, Enrique Peña Nieto, ha detto che il muro non si farà mai e comunque non sarà il Messico a pagarlo. Trump, artista del deal, ha messo minacciosamente sul tavolo la rinegoziazione del Nafta, e a quel punto Peña Nieto ha annullato l’incontro fissato per martedì prossimo alla Casa Bianca. Quattro ministri erano stati mandati a Washington per preparare un incontro fondamentale, e la trattativa è saltata prima ancora di cominciare. Trump ha dichiarato: “Dobbiamo prendere un’altra strada, non abbiamo scelta”.
E’ in quel momento che la Casa Bianca si è incartata, lanciando indicazioni contraddittorie e lasciando che la vacuità divorasse nel giro di qualche ora il bagaglio di assertività accumulato in mesi e mesi di campagna elettorale. Come far pagare al Messico il muro? Il portavoce Sean Spicer ha evocato una imposta del 20 per cento sulle merci importate dal Messico, proposta che ricalca una complicata riforma fiscale che lo speaker Paul Ryan e altri secchioni del Congresso stanno studiando da mesi per introdurre forme di protezionismo senza ricorrere alla parola “tariff”, il dazio doganale. L’hanno chiamata “border adjustment tax”. L’idea è che questa misura venga introdotta nel contesto di una nuova e più generale legislazione fiscale sulle importazioni delle aziende americane all’estero.
La “border adjustment tax” sembra identica a una tariffa, ma i tecnici assicurano che nello spirito e nella lettera le cose differiscono profondamente, e perfino Grover Norquist, il leader della crociata anti-tasse, dice che la misura è pro-crescita. Devono essere state queste sottigliezze a far credere all’uditorio che ciò di cui parlava Spicer era un dazio in vecchio stile, e quando le grida di protesta si sono levate alte per una misura che devasterebbe l’economia messicana e farebbe danni enormi anche a quella degli Stati Uniti, è stato il presidente stesso a confermare che lui in fondo non è contrario alle antiche misure protezioniste. L’importante è che il Messico paghi il muro. Il problema è che imponendo dazi sulle importazioni per fare cassa, a pagare il muro alla fine saranno i consumatori americani.