Cosa vuole evitare May davanti alla corte di Trump
Oggi il premier britannico incontra il presidente americano alla Casa Bianca. Obiettivo: un accordo commerciale e non apparire implorante
Milano. Theresa May, premier britannico, è arrivata in America per incontrare i repubblicani in Pennsylvania e oggi andare alla Casa Bianca da Donald Trump, neopresidente americano. La May è partita con una gran bella notizia, che le serve per sentirsi forte e per evitare un unico errore: fare la figura della questuante disperata. L’economia britannica è cresciuta dello 0,6 per cento nell’ultimo trimestre del 2016: l’economia del Regno Unito è la più dinamica del G7. “I consumatori inglesi – scrive il Financial Times – hanno contribuito ad alimentare una crescita forte dopo il voto per la Brexit del giugno dello scorso anno, smentendo previsioni catastrofiche sulle conseguenze dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea”. Gli economisti sottolineano che i costi a lungo termine del divorzio ci saranno e saranno alti, ma intanto il collasso annunciato come certo e tempestivo prima del voto referendario non c’è stato, e questo per la May, prima leader internazionale a incontrare Trump alla Casa Bianca, è più che sufficiente per impostare un rapporto “alla pari” con il presidente americano.
Per gli osservatori europei, l’incontro di Washington è la rappresentazione di un incubo: la Brexit e Trump sono a oggi – assieme alla Russia – le minacce principali per la tenuta del continente europeo. May vuole uscire dal mercato unico e Trump ha già mostrato di non avere particolarmente a cuore le sorti dell’Ue, e anzi a Coblenza nel weekend scorso i trumpiani d’Europa – Marine Le Pen, Geert Wilders, Frauke Petry, Matteo Salvini in particolare – hanno urlato dal palco che l’onda trumpiana si realizzerà anche dalle nostre parti portando al disfacimento dell’Unione europea. Ma se nel vertice di Washington l’Europa non uscirà certo più rassicurata, May potrebbe spendere una parola – così le è stato consigliato – sulla Nato, che per Trump è “obsoleta” e inefficiente (a proposito di organismi internazionali: pare pronto un executive order per diminuire i finanziamenti americani alle Nazioni Unite) e che invece per Londra resta un pilastro irrinunciabile per la sicurezza dell’occidente. Per il resto, la May va da Trump per parlare di affari britannici, che non hanno nulla a che fare con il resto dell’Ue, anzi semmai sono in contrasto con le regole europee: a norma di trattato, il premier inglese non potrebbe fare accordi commerciali finché il Regno Unito è ancora membro dell’Ue (e lo è), ma come ha detto il negoziatore francese Michel Barnier: “Che cosa può impedire a due nazioni di parlarsi?”. Si sa che la scommessa della May sulla “clean Brexit” si basa sulla capacità di Londra di siglare patti vantaggiosi con gli altri paesi, al pari di quelli ottenuti facendo parte del consesso europeo, ma se è vero che Trump ha detto che non vede l’ora di fare accordi con la May, è altrettanto vero che l’Amministrazione americana si sta muovendo lungo strade che non contemplano grandemente il libero scambio. Per di più sono già in atto da tempo scontri sui servizi finanziari: il Regno Unito, come la stessa Europa (il Ttip serviva anche a questo), chiede un accesso più ampio al mercato finanziario americano, ma ci sono state parecchie resistenze da parte del Tesoro quando c’era ancora il presidente Obama. E’ difficile immaginare che ora l’approccio sia più morbido.
C’è un elemento ulteriore, segnalato da Bloomberg: secondo alcuni funzionari britannici, la May non ha negoziatori esperti nel proprio team e questo potrebbe risultare estremamente negativo con Trump, maestro dell’arte del deal. Il dipartimento del Commercio internazionale inglese è stato predisposto dalla May all’indomani della Brexit, ha pochi mesi di vita, e risulta “sottostaffato” e “con poca esperienza”. E qui Bloomberg cita la parola bandita nella delegazione di May in America: “disperazione”. Tutto può accadere, ma non che il premier britannico risulti una questuante disperata.