Liberté ma non per te
Bensoussan a processo a Parigi. Parla Sansal: “Utili idioti al servizio dell’ordine morale islamico”
Roma. Tornano i fasti, primonovecenteschi, del délit d’opinion, il reato intellettuale. Lo ha spiegato ieri sul Figaro Véronique Grousset: “Insidiosamente, la giurisprudenza si evolve rispetto alla distinzione sempre meno netta tra il dibattito sulle idee e l’attacco personale. Molte associazioni lottano per assicurare alla giustizia i loro avversari, intimorirli, rovinarli, screditarli, farli tacere. Senza contare che l’etichetta di ‘islamofobo’ equivale a rilasciare una licenza di uccidere”. A tanti giornalisti, scrittori e intellettuali di Francia è stato chiesto di alzare la mano destra davanti a un giudice e dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità. E’ successo di nuovo nella diciassettesima sezione del tribunale di Parigi, dove il 25 gennaio è apparso per la prima volta come imputato un grande storico, Georges Bensoussan, il direttore editoriale del Mémorial de la Shoah e fra i massimi studiosi di antisemitismo di Francia. Bensoussan è andato a processo non per il suo nuovo, inquietante libro su “Une France soumise”, ma per una frase che ha pronunciato due anni fa in una trasmissione radiofonica: “Come ha detto un sociologo algerino, Smaïn Laacher, nelle famiglie arabe in Francia l’antisemitismo viene trasmesso con il latte materno”. L’accusa cui deve rispondere Bensoussan è a dir poco infamante: “Incitamento all’odio razziale”.
A far causa a Georges Bensoussan sono state le principali associazioni antirazziste di Francia, la Lega dei diritti dell’uomo, la Licra, il Mrap, Sos Racisme e il Collettivo contro l’islamofobia, una ong molto attiva nella criminalizzazione delle idee critiche sull’islam. In tribunale si è presentato Alain Finkielkraut, che ha chiesto di testimoniare a favore dello storico di origini ebraiche. Di fronte al giudice che presiede il processo, Fabienne Siredey-Garnier, si è trovata Lila Charef, a capo del dipartimento legale del Collettivo contro l’islamofobia, che indossava il velo islamico. “Non ho inventato Mohammed Merah”, ha ribattuto in aula Bensoussan, facendo il nome del terrorista islamico che ha sterminato i bambini ebrei di Tolosa. “Non ho inventato i fratelli Kouachi”. “Sarà una catastrofe intellettuale e morale”, ha detto Finkielkraut nel caso in cui lo storico venisse condannato. Nacira Guénif, sociologo presso l’Università di Parigi VIII, testimone delle parti civili, ha detto che l’insulto antiebraico è “entrato nel linguaggio di tutti i giorni e non significa odio per gli ebrei”. Finkielkraut non poteva trattenere le risate. Bensoussan ha parlato di “terrorismo intellettuale”. “Le associazioni antirazziste non sono più in lotta contro il razzismo, il loro obiettivo è vietare il pensiero, sottrarre la realtà alle critiche”, ha proseguito Finkielkraut. “Sono sorpreso di essere qui perché la questione non è se Bensoussan è colpevole: la questione è se ha detto la verità!”. Contro lo studioso della Shoah hanno testimoniato anche Mohamed Sifaoui, giornalista franco-algerino, e Michèle Sibony, docente in pensione, membro della Unione ebraica francese per la Pace, che in tribunale ha accusato Bensoussan di “un discorso degno di Drumont” (un famoso ideologo antisemita degli inizi del XX secolo).
Dall’Algeria è arrivata la lettera di sostegno a Bensoussan dal grande scrittore Boualem Sansal. Al Foglio, l’autore di “2084” spiega che il senso di questo processo è “di impedire la libertà di parola e di dibattito. L’obiettivo è uno: mettere a tacere qualsiasi critica contro sull’islam. La tragedia è che funziona: nessuno osa farlo. Quello che i terroristi non hanno raggiunto assassinando coloro che criticano l’Islam, il Corano e il Profeta, è stato ottenuto dagli ‘utili idioti’ e dagli ipocriti attivisti che operano la ‘giustizia’ contro la minima critica ritenuta islamofoba o razzista. Sono riusciti a creare in Europa un ordine morale al servizio dell’islam, finanziato segretamente dai clienti sauditi e dal Qatar”. Sansal illumina un paradosso. “Nel mio paese, la legge punisce severamente qualsiasi attacco contro l’islam, ma l’Algeria non prende in considerazione l’islamofobia come un crimine o un delitto. In Algeria non c’è, non c’è mai stato, e spero che non ci sarà mai, un affaire Bensoussan. Come non c’è mai stato un affaire Sansal. In Francia, per aver criticato l’islam io sono considerato da alcuni come un ‘islamofobo’. In Algeria, niente di tutto questo. L’odio per l’ebreo è espresso in termini canonici, come nel Corano e negli Hadith. La maledizione del cristiano e dell’ebreo ha il suo linguaggio che deve essere rispettato alla lettera.
Il conflitto israelo-palestinese, citato quasi quotidianamente nei mezzi di comunicazione e nelle preghiere del venerdì, aggiunge l’odio a Israele”. La prima udienza si è conclusa con l’arringa di Michel Laval, l’avvocato di Bensoussan: “Per la prima volta nella mia vita ho avuto la tentazione dell’esilio”. La sentenza è attesa per il 7 marzo. Il processo a Bensoussan si è aperto quando se ne era appena concluso un altro, quello a scapito del filosofo e saggista Pascal Bruckner, finito sotto processo per aver parlato dei “collaborazionisti degli assassini di Charlie Hebdo”. Bruckner è stato assolto, una fortuna che Bensoussan potrebbe non avere. Basta pensare a un altro processo simile, quello contro Yves de Kerdrel, direttore del settimanale Valeurs Actuelles, condannato per lo stesso reato, “incitamento contro i musulmani”, per una copertina della sua rivista con la Marianna velata. “A trascinare Bensoussan in giudizio sono gli attivisti antirazzisti, le associazioni musulmane, coloro che vogliono vedere l’islam trionfare e gli sciocchi che credono che sia una ‘religione di pace’”, dice al Foglio Richard Millet, l’ex editor di Gallimard che ha indossato i panni di pamphlétaire fra i più discussi di Francia. Cosa vogliono? “Il silenzio, naturalmente; e la rimozione del ‘problema’”.