Non sarà un hashtag a salvare le ragazze rapite da Boko Haram
Un libro di Wolfgang Bauer racconta gli orrori del gruppo jihadista africano. Anche le ragazze che sono riuscite a fuggire o sono state liberate non hanno alcuna speranza di risposarsi o trovare un lavoro. La democrazia non è più una speranza per nessuno lì
"Vi abbiamo portate qui perché possiate vederci compiere l'opera di Dio" dicono i miliziani di Boko Haram alle loro prigioniere, prima di esibirsi nella decapitazione degli ostaggi maschi. Li bendano, li sgozzano, scaraventano le loro teste per strada. Hanno sempre il volto scoperto. Le donne devono guardare gli esecutori del volere di Dio. Poi soddisfarli. Sposarli. Dare alla luce i loro figli. A quelle che oppongono resistenza, le altre prigioniere vengono obbligate a tagliare la testa dalla nuca, in modo da prolungarne l'agonia.
Boko Haram significa "l'istruzione occidentale è proibita” ed è il nome del gruppo terroristico jihadista sunnita da due anni alleato dello Stato islamico e da diversi altri attivo in Nigeria, con l'obiettivo di trasformarla in un Califfato di oltre 180 milioni di persone (tanti risultano essere, attualmente, gli abitanti del paese, divisi in 514 etnie). Il 14 aprile del 2014, gli uomini di Boko Haram rapirono 276 studentesse in una scuola di Chibok, ancora nord est del paese (il sud è meno vulnerabile: la sua costa è il traino economico del paese, possiede una consistente industria petrolifera e un'altrettanto fruttuosa casa di produzione cinematografica, Nollywood, che ha battuto Bollywood e una classe media che guarda all'America). Qualche settimana dopo il rapimento, il capo della setta, Abubakar Shekau diffuse un video in cui proponeva i termini di un riscatto. Shekau assunse la guida dopo il fondatore di Boko Haram, Yusuf, che in principio era poco più di un predicatore innamorato della Sharia, ma che ben presto raccolse il malcontento di un paese cui la classe politica aveva rubato, per anni, miliardi su miliardi, abbandonandolo a sé stesso e alla sua cronica assenza di infrastrutture e servizi. Nel 1998 il passaggio alla democrazia non cambiò praticamente nulla. Dal 1960, anno dell’indipendenza, a oggi, l’appropriazione indebita di denaro pubblico a carico della classe dirigente ha superato i quaranta miliardi di dollari.
Amina Ali-Nkeki, rapita da Boko Haram e liberata lo scorso maggio (foto LaPresse)
La Nigeria detiene oggi il più alto numero di bambini non scolarizzati e più della metà della popolazione vive in povertà assoluta: condizioni che non sono mutate da quando Boko Haram, poco meno di vent'anni fa, cominciò a mietere consenso, ad attirare giovani, a mostrare la necessità di una purificazione di usi e costumi e dell'instaurazione di un’ uguaglianza che solo la legge islamica avrebbe reso possibile (il fallimento di quella "secolare" era innegabilmente sotto gli occhi di tutti). Da allora a oggi, Boko Haram ha creato un esercito di fedelissimi che conta più di 50mila unità. Potrebbero essere di meno o potrebbero essere di più: le informazioni disponibili sono molto incerte. L'Occidente aprì lo sguardo sulla Nigeria dopo quella notte di aprile di quasi tre anni fa e scoprì quello che Boko Haram impartiva a donne e bambine quando Michelle Obama si fece fotografare con un cartello su cui compariva la scritta #bringbackourgirl. Un portale a loro dedicato informa che ben 195 di quelle ragazze non sono mai state ritrovate. Ma gli hashtag si dimenticano. È fortemente probabile che siano prigioniere nella foresta di Sambisa, nel nord del paese, dove Boko Haram ha il suo quartier generale.
Quello che accade lì dentro lo ha raccontato il reporter tedesco Wolfgang Bauer nel libro "Ragazze rapite", appena pubblicato in Italia da La Nuova Frontiera, dopo aver incontrato alcune giovani fuggite alla prigionia e tuttavia ancora non libere: alla fine del suo reportage, scrive "hanno solo cambiato carceriere", poiché nei villaggi in cui fanno ritorno nessuno si fida più di loro, sono state le donne dei miliziani e, per quelle comunità terrorizzate, non c'è alcuna prova che non lo siano ancora. Non hanno alcuna speranza di risposarsi o trovare un lavoro. Spesso, i militari delle milizie di difesa da Boko Haram, le interrogano per settimane, torturandole. Tutte le giovani donne con cui Bauer ha parlato, hanno partorito almeno un figlio dei loro carcerieri della foresta, che le hanno violentate e sposate in cerimonie a cui non hanno nemmeno potuto partecipare: la loro vita non poteva svolgersi al di fuori della capanna di foglie e argilla che si erano costruite da sole per ripararsi dai serpenti (ce ne sono di quelli che volano, a Sambisa) e dagli scorpioni che hanno avvelenato e ucciso molte delle loro compagne.
Quasi tutte avevano un marito che è morto per mano di Boko Haram. A tutte sono stati strappati i figli maschi. Molte hanno visto violentare le proprie figlie sotto i loro stessi occhi. Alcune hanno avuto il privilegio di venire imprigionate in piccole abitazioni sprovviste di bagni e dalle quali, naturalmente, era impossibile uscire anche per fare i propri bisogni. Molte hanno raccontato di decine di altre donne utilizzate come kamikaze, spesso a loro insaputa. La prima volta che Boko Haram utilizzò donne per azioni terroristiche suicide, fu nel luglio del 2014, poco dopo il rapimento di Chibok, a Gombe. La ragazza era una prigioniera appena ventenne, consenziente. Bauer riporta che da allora fino allo scorso anno, in Nigeria ci sono stati 120 attentati suicidi per mano femminile, con 750 vittime e 1200 feriti: nella maggior parte dei casi, le ragazze (o le bambine) non sanno di essere mandate a morire. Complessivamente, Boko Haram ha ucciso 20mila persone, gettate in fosse comuni e fenditure tra le rocce.
Il numero di donne attualmente schiave della setta è incalcolabile. Pochissime di loro superano i trent'anni. La classe politica è del tutto incapace di unirsi per combattere il gruppo, né di garantire ai suoi accoliti una valida alternativa: scrive Bauer che "la democrazia, qui, non rappresenta più una speranza per nessuno".