A Podemos si menano così forte che forse lascia anche Iglesias
Il partito è diviso e al congresso si preannuncia un regolamento di conti tra il leader e il suo numero due Iñigo Errejón
Roma. A militanti e iscritti sembrerà un insulto, ma Podemos, il partito antisistema spagnolo, è per molti versi un partito personale. Sembrerà un insulto perché tutto in Podemos, dai metodi decisionali alla gestione della comunicazione alla burocratizzazione precoce, sembra fatto apposta per la collegialità, ma nessuno può negare che senza la figura di Pablo Iglesias, il suo carisma e la sua occupazione continua dei media, Podemos oggi non sarebbe la terza forza politica spagnola, forse nemmeno esisterebbe. Per questo, quando Iglesias minaccia le dimissioni alla vigilia di una lotta congressuale che si preannuncia durissima, è chiaro che qualcosa non va nel partito che fino a un anno fa sembrava pronto a conquistare la scena politica spagnola.
In Spagna è iniziata la stagione dei congressi di partito. Il primo, domenica, è stato quello di Ciudadanos, il partito centrista il cui leader, Albert Rivera, è salito sul treno francese di Emmanuel Macron dando alla sua formazione una sterzata liberale ed europeista. In attesa delle primarie dei socialisti a maggio, il prossimo fine settimana tocca al Partito popolare, saldamente dominato dal premier Mariano Rajoy, e a Podemos. Dei due, il congresso del partito antisistema è di gran lunga il più interessante, perché a Vistalegre, il palazzetto madrileño dove si terrà l’evento e dove il partito fu fondato nel 2014 (il nuovo congresso si chiama Vistalegre II) esploderanno tutte insieme le tensioni che hanno attraversato Podemos nell’ultimo anno, hanno provocato la delusione elettorale del 2016 e ora ne minacciano l’unità. La prima divisione, che va avanti da oltre un anno, è quella tra il segretario Pablo Iglesias e il suo numero due, Iñigo Errejón. I due hanno proposto due mozioni e due liste di componenti della direzione concorrenti tra loro, che da sabato scorso, con metodo grillesco, sono votate via internet dagli iscritti. La votazione per il nuovo segretario e la votazione per la lista sono separate, e dunque domenica a Vistalegre potrebbe capitare che Iglesias sia confermato leader di Podemos (come da aspettativa di tutti) ma nella votazione parallela ottengano più consensi la lista e il programma di Errejón, più dialogante rispetto all’intransigenza fedele alla linea di Iglesias. Se si verificasse questo voto disgiunto, e le idee di Errejón risultassero maggioritarie nel partito, Iglesias ha annunciato che si dimetterà, dando in pratica un ultimatum a tutti i militanti: se mi volete leader, e sapete che sono l’unico che può fare questo lavoro, dovete votare in blocco tutta la mia proposta, devo essere l’unico a poter controllare Podemos (ad aggiungere confusione c’è il fatto che Errejón ha detto che in un caso simile lui non prenderebbe il posto di Iglesias, creando un vuoto istituzionale).
Psicodrammi come questo sono diventati pane quotidiano nelle ultime settimane dentro a Podemos. Le divisioni nel partito, seppure giovanissimo, vanno avanti da molto tempo, e il livello dello scontro è altissimo. Iglesias ed Errejón ormai hanno quasi del tutto abbandonato i tentativi di mostrare unità e si lanciano a vicenda accuse di giocare sporco. Luis Alegre, uno dei cinque fondatori del partito allontanato à la Pizzarotti e oggi errejonista, ha detto due giorni fa che attorno a Iglesias si è riunita una “conventicola di cospiratori” che distruggerà il partito. I pablisti hanno risposto a insulti. Un’altra dei cinque fondatori, Tania Bescansa, la “mamma” di Podemos diventata famosa perché portava il figlio neonato alle sedute parlamentari, ha annunciato alla fine della scorsa settimana che abbandonerà la dirigenza del partito perché Podemos è destinato “a un frontale tra due treni”. Del nocciolo duro dei cinque fondatori di Podemos, i “cinque di Vistalegre”, sono rimasti soltanto Iglesias ed Errejón (un terzo membro, Juan Carlos Monedero, si era dimesso già nel 2015), e dopo Vistalegre II uno dei due uscirà per forza di cose sconfitto. Se la sconfitta dovesse toccare a Iglesias, l’intero progetto politico di Podemos sarebbe devastato a poco più di due anni dalla sua nascita, a dimostrazione che l’intransigenza senza cultura politica e di governo è destinata al fallimento.