Così Macron porta la questione identitaria nella casa progressista
Il suo portavoce ci spiega perché serve essere europeisti per proteggere l’identità nazionale
Parigi. Proteggere l’identità nazionale è il mantra della campagna elettorale del Front national di Marine Le Pen: uscire dall’euro, dall’Unione europea e dalla Nato au nom du peuple. Non è l’unica ricetta per l’identità: Emmanuel Macron, leader di En Marche!, non ha paura di affrontare la sfida e rendere cool l’europeismo in nome della realtà. “Chi fa politica deve essere in grado di comprendere la storia: l’Unione europea e la globalizzazione non sono solo il mondo in cui viviamo, sono anche il mezzo che abbiamo per proteggere le nostre identità e far crescere le nostre economie”, spiega in una chiacchierata con il Foglio, deputato socialista e portavoce di Emmanuel Macron.
Durante l’intervista la questione della realtà viene evocata più volte dal deputato che, reduce dai cinque anni deludenti della presidenza Hollande, ha deciso ora di puntare su Macron. “La sinistra francese non ha mai risolto le sue contraddizioni: da anni cerchiamo una sintesi tra progressisti e protestatari – spiega – ma la verità è che non esistono accordi possibili, così il paese non si cambia. Hollande ha vinto le primarie perché rappresentava un compromesso tra le due anime del Partito socialista, ma ha passato cinque anni a litigare con una maggioranza ostile che ha affossato ogni tentativo di riforma”.
Castaner si riferisce a Benoît Hamon e agli altri frondeurs, i frondisti che hanno trasformato l’Assemblea nazionale in un Vietnam parlamentare. “Incarnano una sinistra protestataria e fuori dal mondo che rifiuta la responsabilità del potere: l’obiettivo è la ‘politique politicienne’, il controllo del partito. Hamon non vuole diventare presidente della Repubblica, ha paura di esercitare il potere. Rappresenta la sinistra che s’ispira al piccolo libro rosso del buon socialista, ma che quando si confronta con la gestione del potere si rende conto di non avere i mezzi tecnici per mettere in opera quanto ha promesso”. Ma quindi che posto hanno nel progetto di Macron la destra e la sinistra? “Emmanuel è convinto che esistano destra e sinistra, che siano categorie ancora valide. Però oggi la Francia ha bisogno di andare oltre quest’opposizione sterile, En Marche! serve a riunire tutti i progressisti per fare riforme guidate dal buon senso”.
Il pericolo è riprodurre lo schema della sintesi hollandiana in nome del grand rassemblement contro la sciagura del Front national. “En Marche! è animato da persone che hanno culture diverse e, lo ammetto, non è sempre facile lavorare con chi ha un percorso politico diverso dal tuo. Ma Macron presenterà a breve dieci grandi proposte su cui ogni candidato all’Assemblea s’impegnerà solennemente, parlo di temi come il lavoro, la lotta alla disoccupazione, la previdenza sociale. Sul resto il Parlamento discuterà e deciderà in assoluta autonomia”. Una specie di contratto, ma quanto vincolante? “Saremo impegnati politicamente, nessuno sta mettendo in discussione l’assenza, sacrosanta, del vincolo di mandato. E’ una questione di trasparenza nei confronti dei francesi”. L’idea di andare oltre le divisioni del passato e prendere idee di buon senso anche nel campo avverso è stata teorizzata negli ultimi anni da Matteo Renzi. “Il percorso di Matteo Renzi è molto interessante, nella sostanza siamo simili: anche se il vostro ex premier è passato dal partito, non si è dato dei limiti dogmatici, ha oltrepassato le linee classiche sfidandone la dottrina, ha provato a portare avanti riforme profonde perché lo credeva giusto, non perché lo chiedevano gli intellò vicini al Pd. Macron ha fatto una scelta differente: considera che la logica del partito gli impedirebbe di utilizzare appieno il potere. Emmanuel non vuole solo essere eletto, ma esercitare il potere per cambiare la Francia”.
La conversazione si sposta quindi sul futuro del movimento, cosa diventerà En Marche! dopo le elezioni, prenderà il posto dei socialisti? “En Marche! ha intenzione di diventare un partito politico ma in un modo nuovo: il partito è il mezzo per cambiare la società, non il fine. Guardiamo oltre le elezioni: lo struttureremo a prescindere dal risultato”. All’ultima domanda, su come fare a convincere chi è uscito sconfitto dalla globalizzazione ed è attirato dal protezionismo lepenista o dall’assistenzialismo, Castaner risponde citando un passaggio del discorso di Macron. “Quando andiamo in periferia chi è in difficoltà non ci chiede il reddito universale, ma di poter vivere con dignità del proprio lavoro”.