Le telefonate russe di Flynn lasciano intendere un regolamento di conti interno alla Casa Bianca
Le conversazioni fra i due erano note, ma i contenuti estratti dalle indagini dell’intelligence potrebbero violare il Logan Act, una legge del 1799 che impedisce ai cittadini americani di interferire nella politica estera di stati stranieri
New York. Un’inchiesta del Washington Post dice che prima dell’insediamento dell’Amministrazione Trump, il consigliere per la sicurezza Michael Flynn ha discusso delle sanzioni contro la Russia con l’ambasciatore Sergey Kislyak, in una serie di contatti che la Casa Bianca ha presentato come ordinaria amministrazione. Nove funzionari di Washington dicono invece, in forma anonima, che i due hanno discusso di sanzioni e ci sono prove raccolte dall’intelligence che questo è successo nel periodo in cui l’uscente Amministrazione Obama ha ordinato un nuovo round punitivo, dopo che un’indagine dell’intelligence aveva confermato le interferenze russe nelle elezioni americane. Alcune fonti del quotidiano si spingono fino a dire che Flynn abbia suggerito all’ambasciatore di non reagire all’espulsione di diplomatici ordinata alla fine dell’anno scorso, implicita promessa di una nuova distensione dopo l’arrivo di Trump alla Casa Bianca. Questo spiegherebbe perché Vladimir Putin ha deciso di non cacciare diplomatici americani in risposta alla decisione di Obama, contraddicendo le consuetudini diplomatiche e le promesse del ministro degli Esteri, Sergei Lavrov.
“Grande mossa quella di ritardare. Ho sempre saputo che era molto intelligente”, aveva scritto Trump. Flynn ha dapprima negato di aver toccato l’argomento con il russo, poi tramite un portavoce si è in parte corretto: “Se da una parte non ha memoria di avere discusso di sanzioni, non è certo che l’argomento non sia mai venuto fuori”. Un portavoce del Cremlino ha smentito la notizia. Le conversazioni fra i due erano note, ma i contenuti estratti dalle indagini dell’intelligence potrebbero violare il Logan Act, una legge del 1799 che impedisce ai cittadini americani di interferire nella politica estera di stati stranieri. La legge non è mai stata applicata, quindi non ci sono precedenti per immaginare un eventuale iter giuridico, e sarebbe quasi paradossale che il consigliere accusato di essere asservito ai russi possa essere incriminato per avere influenzato i loro affari. Il caso ha implicazioni potenzialmente esplosive a livello di politica estera, ma c’è anche un aspetto interno che emerge dalle rivelazioni.
Chi nell’Amministrazione sapeva che Flynn aveva parlato di sanzioni con i russi? In un’intervista del 15 gennaio alla Cbs, il vicepresidente eletto Mike Pence ha detto che il consigliere e l’ambasciatore “non hanno discusso di niente che avesse a che fare con la decisione dell’America di espellere diplomatici o con l’imposizione di sanzioni alla Russia”. Pence ha spiegato all’intervistatore che sapeva queste cose perché gliele aveva dette direttamente Flynn, e in un passaggio rivelatore dell’articolo del Washington Post un funzionario della Casa Bianca si premura di sottolineare ancora una volta la stessa cosa: è stato il consigliere per la Sicurezza nazionale a dire al vicepresidente che le conversazioni erano innocenti e legali, lui lo ha semplicemente ripetuto davanti alla telecamera. Se le informazioni riportate dal quotidiano sono corrette, rimangono due possibilità: o Pence era a conoscenza della verità e a sua volta ha mentito, oppure ha creduto alla versione fasulla di Flynn, il che significa che è stato circuito dal suo consigliere per la Sicurezza nazionale. Secondo quest’ultima ipotesi, il pezzo del Washington Post va letto come una vendetta interna ai danni di Flynn, il cui potere è stato fin qui ampiamente circoscritto e diminuito dall’iperattivismo di Steve Bannon, lo stratega che si è ritagliato un posto permanente in tutte le commissioni del Consiglio di sicurezza.