La bocciatura del "travel ban" di Trump è solo una mezza vittoria per i suoi oppositori
La corte di Appello respinge il ricorso della Casa Bianca ma il presidente annuncia battaglia alla Corte suprema
New York. Il nono circuito della corte d’Appello federale ha confermato l’invalidità dell’ordine esecutivo di Donald Trump sull’immigrazione, respingendo il ricorso della Casa Bianca, che chiedeva la reintroduzione immediata del “ban” entrato in vigore e poi congelato da un tribunale in seguito alla denuncia presentata dallo stato di Washington. In termini politici, è una sconfitta devastante per Trump e una vittoria sonante per i suoi critici, sottolineata anche dal fatto che i tre giudici del panel – due di nomina democratica, uno repubblicana – hanno votato all’unanimità, dopo una discussione orale che lasciava intendere un dibattito più complicato rispetto al tono certo, a tratti spavaldo, che si legge nelle 29 pagine della sentenza. Trump l’ha presa così male che è ricorso al maiuscolo: “CI VEDIAMO IN TRIBUNALE, LA SICUREZZA DELLA NOSTRA NAZIONE E’ IN GIOCO!”, ha twittato, rimandando a un più che probabile appello alla Corte suprema.
La semplificazione della vicenda nello schema binario dei vincitori e dei vinti non deve però ingannare. In termini giuridici, si tratta di una vittoria limitata per gli oppositori dell’ordine di Trump, per il semplice fatto che la corte d’Appello non si esprime nel merito del decreto ma approva una sentenza già esecutiva sulla base dei danni, della confusione e delle violazioni alle prerogative degli stati che reintrodurre il provvedimento trumpiano comporterebbe. Ci sono tutti gli ovvi riferimenti ai limiti del potere del presidente, che è una parte rilevante della disputa (“il presidente ha il potere di emettere un tale decreto?”, è domanda che viene logicamente e giuridicamente prima di: “il decreto viola la Costituzione?”) e i giudici obiettano al fatto che la decisione presidenziale sia “unreviewable”, ma non si toccano questioni di sostanza costituzionale. O meglio, si toccano ma non sono alla base della decisione. Si menziona nel testo la violazione della separazione fra stato e religione (Primo emendamento) e quella dell’eguale protezione di fronte alla legge (Quattordicesimo emendamento) dal momento che il primo ricorso al bando, quello dello stato di Washington, sostiene che sia fatto “per sfavorire i musulmani”. “A sostegno di questo argomento – si legge – gli stati hanno offerto prove di numerose dichiarazioni del presidente sul suo intento di implementare un ‘muslim ban’”. Questo passaggio da una parte dà indizi sulle strade che potrebbe prendere la Corte suprema per smantellare il decreto di Trump, dall’altra ricorda al presidente che i suoi tweet possono essere usati contro di lui.
Ciò che la sentenza invece non cita – sempre per il motivo di cui sopra: non entra nel merito del provvedimento – è quella porzione di legge sugli “inadmissible aliens” e sui poteri presidenziali che è sulla bocca di tutti gli esperti giuridici, specialmente di quelli che ritengono legittime le restrizioni previste dal decreto: “Ogni volta che il presidente trova che l’ingresso di qualunque straniero di qualunque classe di stranieri negli Stati Uniti sia dannoso per gli interessi degli Stati Uniti, potrà, per decreto e per il periodo che riterrà necessario, sospendere l’ingresso di tutti gli stranieri o di qualsiasi classe di stranieri come immigranti o non immigranti, o imporre all’ingresso degli stranieri qualunque restrizione ritenga appropriata”.