Flynn fatto fuori per le bugie sui russi. E' il terzo. Finirà qui?
Via il consigliere per la Sicurezza di Trump. Chi passa le informazioni ai giornali? Perché molti ora parlano di una rivolta delle spie
Roma. I fan italiani del presidente americano Donald Trump amano ripetere che i giornali sono morti, ma è chiaro che qualche colpo buono lo tirano ancora perché due giorni fa il consigliere per la Sicurezza nazionale di Trump, Mike Flynn, si è dovuto dimettere dopo che il Washington Post ha rivelato che mentiva sui rapporti intrattenuti con il governo russo, in un articolo pubblicato il 9 febbraio. Il consigliere ha sempre negato con fermezza di avere discusso le sanzioni con Mosca prima dell’insediamento di Trump, ma le sue telefonate erano registrate dal controspionaggio e le trascrizioni provano il contrario. Flynn è il terzo uomo di Trump costretto alle dimissioni per rapporti non chiari con i russi, dopo Paul Manafort e Carter Page.
Il quotidiano americano ha sentito nove fonti molto volenterose e loquaci definite “senior”, quindi di alto livello, nelle agenzie d’intelligence (alcune vi lavoravano fino al mese scorso, altre vi lavorano ancora) che hanno avuto accesso alle comunicazioni fra Flynn e l’ambasciatore russo Sergei Kislyak. Per esempio il 29 dicembre, il giorno in cui Obama ha imposto sanzioni contro i servizi segreti russi – accusati di avere interferito nelle elezioni americane –, Flynn e Kislyak si sono sentiti al telefono cinque volte. A quelle sanzioni i russi non risposero con controsanzioni come tutti invece si aspettavano, forse perché calcolarono che non sarebbero durate con l’arrivo dell’Amministrazione Trump. Flynn ha negato per due volte di seguito in un’intervista tv di avere discusso delle sanzioni con i russi, cosa che la legge vieta prima dell’insediamento ufficiale, e si è fatto difendere dal vicepresidente Mike Pence, che in due occasioni diverse ha confermato di avere ricevuto da Flynn rassicurazioni sul fatto che non c’era nulla da nascondere. Ma dopo lo scoop di giovedì scorso il consigliere ha cominciato ad apparire meno sicuro, il suo portavoce ha detto che “non ricordava” il contenuto delle telefonate e che “non poteva essere certo che l’argomento non fosse stato toccato”. Lunedì il Washington Post, in un altro scoop, ha rivelato che il dipartimento di Giustizia americano ha avvertito la Casa Bianca che Flynn è ricattabile dai russi, perché ormai è esposto: aveva detto ai superiori di non avere parlato di sanzioni e invece i russi possono dimostrare il contrario quando vogliono (l’Fbi, che si occupa del controspionaggio, lavora sotto il dipartimento di Giustizia).
Lunedì Kellyanne Conway, consigliera di Trump, ha detto che Flynn godeva della piena fiducia del presidente, poco dopo è arrivata la lettera di dimissioni chiesta da Trump. Flynn era già stato fatto fuori dal suo posto alla Defense Intelligence Agency dall’Amministrazione Obama perché considerato poco affidabile e questo incarico con Trump era visto a Washington come il suo momento di rivalsa, ma è durato meno di un mese. Lo speaker repubblicano della Camera, Paul Ryan, per ora temporeggia davanti alle richieste da entrambi i partiti di una commissione d’indagine sui rapporti tra Flynn (e altri?) e il governo russo. Eli Lake, su Bloomberg News, e l’ex agente Nsa John Schindler, sull’Observer americano, parlano di una rivolta interna all’intelligence americana contro Trump – secondo Lake “l’assassinio politico” di Flynn “è soltanto l’antipasto”, e secondo Schindler le agenzie addirittura nascondono alcune informazioni alla Casa Bianca, nel timore che possano essere passate ai russi.