La diplomazia è morta
Con i suoi tweet Donald Trump ha sovvertito le regole. Ma la colpa non è solo sua. Ecco come i russi si fanno beffe degli allarmi in Europa sulle ingerenze di Mosca
Milano. La diplomazia è morta e il colpo fatale l’ha assestato Donald Trump, non c’è bisogno di compilare e leggere briefing, di telefonarsi addirittura, che follia, quando ogni mattina c’è un tweet (o una tempesta di tweet) che stabilisce l’agenda della giornata, e del mondo. La diplomazia è morta, ma non è soltanto colpa di Trump, ora i messaggi sono trasmessi in altro modo, senza più i comunicati ufficiali che mascheravano la gravità di certi avvertimenti: ora i messaggi vengono sbattuti in faccia e in pubblico, avete voluto la socialità estrema?, eccovi serviti. I russi, che in quanto a diplomazia hanno sempre dovuto sottostare a ruvide contorsioni, sono diventati i diplomatici meno diplomatici di tutti: seguite l’account dell’ambasciata russa nel Regno Unito e capirete.
L’insolenza di @RussianEmbassy era già stata registrata quando Barack Obama, come atto presidenziale estremo alla fine del 2016, decise di imporre nuove sanzioni alla Russia e di cacciare alcuni diplomatici e membri dei servizi a causa delle ingerenze russe registrate durante la campagna per le presidenziali: l’ambasciata russa in Inghilterra pubblicò la foto di un pulcino, con la scritta “lame”, facendo il verso all’anatra zoppa (quale era Obama: un presidente in uscita), e la scritta: “Hapless”, sfigato. Ora l’attenzione dell’ambasciata si è spostata su altro: è l’Europa a essere al centro dell’attenzione.
Le pressioni da parte della Russia aumentano: sono state registrate in Francia (ai danni di Emmanuel Macron), sono state registrate in Germania (ai danni della cancelliera Angela Merkel), sono state tracciate da vari siti e osservatori per identificarne le modalità e la struttura. Ci sono i cyberattacchi, ma soprattutto c’è la propaganda, o contropropaganda, dipende dai punti di vista: l’ambasciata russa a Londra solerte risponde, denunciando la “russofobia” imperante nel Regno Unito e in altre parti d’Europa. Come? Con degli sfottò, o come si dice in gergo social, “trollando”.
It's like epidemic, or fashion? in the West with everybody claiming being hacked by Russia. pic.twitter.com/95R0CW1FdL
— Russian Embassy, UK (@RussianEmbassy) 12 febbraio 2017
Sono ormai diventate celebri le immagini che @RussianEmbassy posta con frequenza: c’è il cane davanti a un materasso fatto a pezzi e la scritta “meno male che siete rientrati, sono stati i russi”. C’è la signora che consegna la patente a un poliziotto che l’ha fermata e la scritta: “Non è colpa mia, i russi hanno hackerato il mio tachimetro” e il tweet: “E’ un’epidemia o una moda? In occidente chiunque dice di essere stato hackerato dai russi”. E’ così che i diplomatici di Mosca reagiscono a quella che definiscono “la caccia alle streghe cyber”: citano ogni articolo che esce sulla questione – e sono tanti: l’allarme è alto, i paesi principali dell’Ue sono in campagna elettorale – e ribattono, rispondendo spesso a tono, scandendo la loro missione con commenti-troll (ieri l’articolo sul pericolo russo sul Telegraph era commentato con “The show must go on!”) e denunciando i media autori della caccia alle streghe. Nel suo account, l’ambasciatore russo a Londra, Alexander Yakovenko, non è da meno. Venerdì ha citato l’articolo di copertina dell’Economist, quello illustrato con il segno del rossetto di Trump sulla guancia di Putin, in cui si descrive alla perfezione perché non esiste un “good deal” tra Washington e Mosca, è un gioco a perdere per l’occidente. Yakovenko ha tuittato l’articolo commentando: “Chi ha paura della detente tra la Russia e l’occidente e perché?”. Una domanda strategica ridotta in un tweet, “l’isteria sugli hacker russi” che potrebbero cambiare il destino europeo ridotta a una battuta: non abbiamo nemmeno computer sufficienti per tante operazioni segrete.