Un romanzo palestinese in arresto
Per il procuratore Barak il libro di Abbad Yahiya è “indecente”. Sotto accusa il linguaggio, che contiene “espliciti riferimenti al sesso”. L’editore arrestato, lo scrittore in fuga. Dove sono i cocchi dei giornali Grossman e Yehoshua?
Può ancora succedere, nel 2017, che un governo “arresti” un libro. È appena successo al più brillante scrittore palestinese, Abbad Yahiya, che si è visto requisire le copie del suo quarto romanzo, “Crimine a Ramallah”, in tutta la Cisgiordania. L’ordine è arrivato dal procuratore generale palestinese Ahmed Barak, il quale ha stabilito che il libro è “indecente” e “incompatibile con la morale”. Sotto accusa il linguaggio, che contiene “espliciti riferimenti al sesso”. L’editore del romanzo è stato arrestato e anche su Yahiya pende ora un mandato di cattura.
Il romanzo ruota attorno all’omicidio di una palestinese a Ramallah, un fatto che sconvolge anche le vite di tre ragazzi. Ne risulta uno spaccato della società palestinese clandestina, dall’omosessuale al consumatore di alcolici. Il romanzo prende di mira tabù come il fanatismo, l’estremismo islamico e l’omosessualità. Il giovane omosessuale protagonista del libro finisce per trasferirsi in Francia, in esilio come Yahiya. “Non so cosa fare”, ha detto lo scrittore riparato in Qatar. “Se torno, sarò arrestato”. In un’intervista telefonica, Yahiya ha dichiarato all’Associated Press che si trovava in visita a Doha quando ha saputo del divieto e del mandato di arresto. Altri pensano che Yahiya sia fuggito sapendo cosa sarebbe successo dopo la pubblicazione. Il capo dell’Unione palestinese degli scrittori, Murad Sudani, ha attaccato lo scrittore e invocato una punizione esemplare, parlando di un “romanzo che sciocca e viola i valori nazionali e religiosi della società al fine di placare l’occidente e vincere dei premi. Il lavoro dello scrittore nel nostro paese occupato è quello di aumentare la speranza e illuminare la gente, non rompere i simboli nazionali e religiosi. La mia libertà di scrittore termina quando la libertà del paese ha inizio”. Dunque gli scrittori palestinesi dovrebbero essere come i sovietici ingegneri delle anime al servizio dell’islam e della guerra a Israele. Genere Mahmoud Darwish, il bardo dell’Intifada assassina.
Ghassan Khader, un utente di Facebook, ha scritto sulla sua pagina che Yahiya “dovrebbe essere ucciso”. È solo una delle tante minacce al romanziere. Vorrebbero fargli fare la fine di un grande scrittore algerino, Tahar Djaout, ucciso dagli islamisti nel 1993: il manoscritto del suo romanzo, “L’ultima estate della ragione”, venne ritrovato tra le carte dopo l’assassinio. Un altro utente di Facebook, Hussein Mihyar, ha scritto: “Il romanzo di Yahiya serve l’occupazione israeliana e distrugge la nostra giovane generazione”. L’editore, Fuad Akleek, è stato arrestato in una libreria “in modo molto umiliante”. La polizia palestinese è entrata in cinquecento fra librerie e biblioteche della Cisgiordania per sequestrare le copie del romanzo.
La storia di Yahiya ricorda quella di Waleed al Husseini, il blogger palestinese che ha trascorso dieci mesi in una prigione palestinese per lo stesso “crimine” per cui i giornalisti di Charlie Hebdo sono stati fatti a pezzi: “Blasfemia”. Come il gay del romanzo di Yahiya, Waleed oggi vive in Francia. Anziché attaccare sempre il proprio paese, Israele, gli scrittori David Grossman e Abraham Yehoshua, i peaceniks sempre coccolati dai nostri giornali, dovrebbero per una volta chiedersi cosa significa il caso di Yahiya e criticare i suoi persecutori. Perché quanto è successo al suo romanzo contiene il vero motivo della mancata pace fra israeliani e palestinesi. È l’abisso fra una società aperta e una chiusa, fra una democrazia fondata su princìpi liberali occidentali e un’autocrazia banditesca che si regge sulla morale islamica.