Il libro che bisogna leggere per sapere i segreti della “risk map” dell'Asia
Quel che l’occidente non capisce del secolo del Pacifico
Roma. La Corte costituzionale coreana, annunciando il calendario delle arringhe finali nel procedimento di impeachment contro la presidente sospesa Park Geun-hye, ha lasciato intuire ieri anche la data di una possibile sentenza, che dovrebbe arrivare intorno al 10 marzo prossimo. Il futuro politico della Corea del sud è appeso a quella decisione, mentre il suo futuro economico è già compromesso. Sempre ieri i procuratori speciali che si occupano dell’indagine contro Park hanno chiesto e ottenuto l’arresto di Jay Y. Lee, che è il “di fatto” capo della Samsung ed erede del più grande conglomerato coreano. Le accuse contro di lui sono gravi – tanto da aver richiesto la sua detenzione nel carcere di Seul (ha una cella singola, con tv e scrivania) – e vanno dalla corruzione nei confronti della presidenza e della “consigliera” privatissima, Choi Soon-sil, fino all’appropriazione indebita, falso in bilancio e falsa testimonianza. Tutta l’indagine nasce per gran parte anche dalle oceaniche proteste che iniziarono nell’ottobre dello scorso anno contro la presidente Park e la corruzione diffusa, e contro la consuetudine di ritenere immuni i capi dei conglomerati in nome di una realpolitik economica.
Fino a un anno fa, nessuno avrebbe mai pensato al crollo quasi totale di tutta la struttura politico-economica coreana, in un momento in cui la Corea del nord è una minaccia sempre più seria e Donald Trump è appena entrato alla Casa Bianca. La stessa cosa è accaduta con l’elezione nelle Filippine del presidente Rodrigo Duterte: nessuno aveva immaginato che Manila potesse allontanarsi così tanto dall’America, stringere un’alleanza strategica con Cina e Russia e condurre una sanguinosa campagna antidroga che mostra un lato imprevedibile della presidenza Duterte. Non è un caso se il libro del momento, tra chi si occupa di questioni asiatiche, si chiami “The End of the Asian Century: War, Stagnation, and the Risks to the World’s Most Dynamic Region” (Yale University Press, 304 pp., 30 dollari). L’autore è Michael R. Auslin, ex docente di Yale e scholar all’American enterprise institution. Secondo Auslin, è il momento di tracciare una “risk map” per l’occidente, una mappa delle situazioni che potrebbero danneggiare quello che nel 2011 l’allora segretario di stato Hillary Clinton definì “il secolo del Pacifico” e che altri preferiscono riconoscere più generalmente come “il secolo asiatico”.
Per secoli gli analisti occidentali hanno aspettato che lo Zeitgeist del mondo, l’equilibrio globale, si spostasse verso oriente. E in molti hanno pensato che questo fosse il momento buono, specialmente dopo l’arrivo di Donald Trump e un nuovo isolazionismo americano. Ma l’Asia non è l’Eldorado: in sette capitoli, Auslin dimostra che ci sono ragioni economiche, sociali e politiche che l’occidente spesso sottovaluta, e che rischiano di far fallire l’intera regione. Non c’è soltanto la Corea del nord e le pretese cinesi nel Mar cinese meridionale e orientale a rendere instabile la regione. Tra i paesi più sviluppati come Giappone e Corea del sud esiste un problema demografico, che si affaccerà presto pure in Cina, spiega Auslin, dopo anni di politica del figlio unico. Inoltre, il nazionalismo e un autoritarismo diffuso hanno impedito ai paesi dell’Asia di collaborare e prosperare insieme, in una “Nato” asiatica che non ha mai trovato nemmeno una sua leadership, e perfino l’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico continua a ottenere risultati modesti: “Non serve predire quello che accadrà, ma comprendere le tendenze sottotraccia e prepararci a qualunque possibilità”.