Hamon-Mélenchon, o di quanto è difficile ricomporre una scissione
I due leader si sono parlati al telefono possibile un incontro alla fine di questa settimana. La sintonia ideologica è solida, ma le chance di riunirsi, al momento, sembrano basse
Milano. Benoît Hamon, candidato all’Eliseo per il Partito socialista francese, è andato in Portogallo a prendere appunti dal premier Antonio Costa, che guida un esecutivo tutto a sinistra. Hamon vuole riunire la gauche, al centro trova un muro – i moderati del Ps probabilmente fuggiranno verso Emmanuel Macron, leader liberale di En Marche! – e allora si butta a sinistra, cercando lì l’unità perduta. Ma si è già scontrato con il leader più popolare dell’area, Jean-Luc Mélenchon, che oggi si attesta attorno all’11 per cento dei gradimenti e che ha fatto sapere di non avere voglia di salire “sul carro funebre” dei socialisti.
Mélenchon lasciò il Ps nel 2008, dopo una lunga e riottosa partecipazione a molti governi socialisti, quando il partito decise di candidare Ségolène Royal: non vogliamo connessioni con la destra, disse Mélenchon, annunciando la nascita del Parti de gauche, ispirato alla Linke tedesca. Da lì ha condotto, con alterne vicende, la sua battaglia, soprattutto contro il Ps e contro, più di recente, il presidente François Hollande. Prendere le distanze da questa amministrazione: ecco quel che Mélenchon chiede a tutti, in particolare a Hamon, che con Hollande ha lavorato e che con Mélenchon aveva firmato la mozione di sinistra che uscì sconfitta quando fu scelta Ségolène. Mélenchon ha lanciato un movimento, France insoumise, all’inizio di febbraio per federare, sullo slancio dell’attivismo online, le iniziative nate a sinistra del Ps: vorrebbe essere lui il rassembleur, e lasciare a Hamon le briciole. Ma per ora le briciole sono divise in parti quasi uguali: Hamon nei sondaggi è al 13 per cento, e se si votasse oggi la sinistra, in nessuna delle sue forme, arriverebbe al ballottaggio delle presidenziali del 7 maggio.
Hamon ha tentato di coinvolgere Mélenchon: la scissione oggi pesa tantissimo. I due leader si sono parlati al telefono venerdì scorso, non si sa cosa si siano detti, ma dopo tre settimane di corteggiamenti e abboccamenti, ieri Libération titolava: “Si dicono di no”, il tentativo di riavvicinamento è morto. In realtà non è detto: ci sarà probabilmente un incontro tra i due alla fine di questa settimana, sempre ammesso che entrambi gli entourage non peggiorino la situazione con tutte le indiscrezioni che lasciano trapelare sui giornali (chi ha chiuso la porta in faccia a chi?, questo è il tema: sì, ci è molto familiare). Ma al momento le chance di ricomporre la scissione sembrano basse, pure se la sintonia ideologica tra Hamon e Mélenchon è solida: hanno lavorato insieme, hanno una visione simile del mondo, parlano di politiche per combattere la diseguaglianza che si assomigliano parecchio, insomma l’occasione per la riunione non potrebbe essere più ghiotta. Eppure non basta, anche se il dibattito in Francia è dominato dall’agenda di destra, anche se la presenza di Macron al centro è destinata a strappare via dal Ps i ramoscelli liberali che ancora esistono. Tornare indietro dopo una scissione, anche in condizioni ottimali e di fronte a un’emergenza, è complicato, ognuno fa da sé e la sinistra si distrugge tutt’assieme. Anzi, Mélenchon rilancia: domenica ha presentato il suo programma economico che, oltre ad annunciare uno stimolo enorme che le finanze acciaccate di Francia non possono permettersi, prevede anche una tassazione al cento per cento (sì, 100) per i redditi annui superiori ai 360 mila euro. Tutto quel che si guadagna oltre questa soglia, viene di fatto dato allo stato. Nemmeno a Hamon e al carro funebre del Ps era venuta in mente una brutalità così.