Resistere ai neo giacobini
“Il vostro è un assassinio politico”. Perché il caso di Fillon dovrebbe aprire una riflessione del ceto politico sulla pretesa di abolire per via giudiziaria le prerogative degli eletti del popolo (astenersi cerchiobottisti e associati)
La vendetta di Berlusconi. François Fillon resta in corsa mentre i magistrati del pool di Parigi, il PNF, Parquet National Financier, lo incalzano e vogliono incriminarlo a due giorni dalla definitiva formalizzazione della sua candidatura. Sarkozy era il suo boss quando rise di gusto di Berlusconi a un vertice con la Merkel. Ora il ghigno del ceto politico francese della destra, abituato in passato a dare una regolata ai magistrati impiccioni, è spento. Fillon parla di assassinio politico, di sovversione delle regole democratiche, di accanimento giudiziario ad personam allo scopo strumentale e politicizzato di espropriare politica e diritti al primato del suffragio universale.
Va alla convocazione del Parquet, si difende nel processo, ma ci va come Berlusconi a suo tempo, contestando il diritto dei suoi giudici di indagarlo e giudicarlo in questo modo e in questi tempi da orologeria politica. Dicendo che “lo stato di diritto è sistematicamente violato”, Fillon apre una questione inaudita, che può assumere centralità nella campagna elettorale e sconvolge abitudini e ormai nebbiose certezze del sistema presidenzialista in un quadro già sorprendente per colpi di scena di ogni genere: “I quattro milioni e mezzo di voti che mi hanno investito della candidatura valgono di più dell’iniziativa di magistrati togati di carriera” è il senso esatto di quanto afferma solennemente. Da noi sono state per vent’anni formule rese familiari dalla lunga guerra del pool al Cav. Ma sono una bomba in un paese che ha sempre fatto le viste, con spreco di ipocrita omaggio reso dal vizio alla virtù, di sacralizzare le istituzioni, l’autonomia del giudiziario, la divisione dei poteri. In una clamorosa allocuzione telefonica, in piena tempesta del maggio francese 1968 e dopo una visita segreta al generale Jacques Massu per assicurarsi la solidarietà dell’esercito, il generale-presidente Charles de Gaulle disse a brutto muso tra le barricate e gli scioperi: “Je ne me retirerai pas”, e sciolse il Parlamento affidando il verdetto finale al voto dei francesi. Il gollista minore Fillon, in un contesto che è una microriproduzione scombiccherata ma insidiosa della storia, oltre che una tardiva ma significativa analogia con la parabola italiana, si esprime in otto minuti di fuoco precisamente con le stesse parole, non si ritira e chiama tutti a resistere, resistere, resistere. L’assassinio politico di cui parla a chiare lettere è per lui il tentativo di sottrarre al paese il suo diritto di scelta tra “la folle avventura della estrema destra populista e la continuazione dell’hollandismo”.
L’accusa contro Fillon, che può cadere in zona Cesarini, è più grave della frode fiscale che ha privato il Cav. dei suoi diritti politici e il suo elettorato del proprio potere, dopo la condanna definitiva e il noto Calvario delle decine di processi intentatigli, perché si tratta di peculato, con l’aggravante di un interesse familiare e personale, non la responsabilità indiretta di un capo azienda, e con l’attenuante che conosciamo bene e gli ipermoralisti respingono (lo fanno tutti o quasi tutti, l’uso di parenti per l’assistenza parlamentare è diffuso). Il caso specifico è però relativamente irrilevante. Certo Fillon come molti moralizzatori moralizzati di casa nostra non è aiutato dalla sua ostentata immagine di probità e integrità. “Chi può anche solo immaginare il generale De Gaulle sotto inchiesta?”, aveva detto quando nei pasticci era finito il suo concorrente alle primarie Sarkozy. E come gli ha subito ricordato polemicamente il candidato del Ps, Hamon, del suo programma fa parte il giustizialismo per gli altri, l’attacco alla politica giudiziaria del potere oggi in carica in nome dell’accelerazione dei tempi delle inchieste e dei processi, e lamentarsi adesso dell’accanimento e della sommarietà dell’istruzione a suo carico è un po’ strano, sospetto. Il caso politico è invece quasi intrattabile. In genere il seguito di queste ribellioni in nome del primato della politica è una sgangherata criminalizzazione, con gogna mediatica e politica, dell’imputato, la via italiana, oppure una discreta Schadenfreude dei suoi maggiori competitori, che se la godono senza darlo troppo a vedere: mai una riflessione intelligente del ceto politico sulla pretesa di abolire per via giudiziaria le prerogative degli eletti del popolo (questo compito viene lasciato volentieri a noi garantisti).
Succederà probabilmente anche questa volta, qualche frase di circostanza, attacchi sull’incoerenza di Fillon, rifiuti di ogni tregua e di una riflessione comune, una stampa e una televisione cerchiobottiste, e via con la degenerazione della vita pubblica e la cancellazione nei fatti della divisione dei poteri in nome di un’idea giacobina e non liberale della “legge eguale per tutti”. Intanto Fillon ha dovuto rinviare al pomeriggio di ieri la visita classica, in parata, al salone dell’agricoltura, denuncia un clima di guerra civile, e buona parte della France soumise, sottomessa agli stereotipi della crescente ondata antisistema, si prepara a ridere dei concerti di casseroles, di pentole battute, che disturbano e sbeffeggiano i comizi del candidato gollista. La Francia ride, ma stavolta l’Italia si annoia (perché sa già come andrà a finire il conflitto tra politica floscia e magistratura in perenne attitudine priapesca).