Fillon continua la corsa all'Eliseo e si ribella “all'assassinio politico” della magistratura
Il candidato dei Republicains, nonostante sia indagato per il Penelopegate, annuncia che non si ritira e rivendica la sua innocenza. Ma il suo consigliere Bruno Le Maire lascia in disaccordo
[Articolo aggiornato in redazione alle 16:01]. Francois Fillon non cede. Gli è stata notificata una richiesta di comparizione per rispondere dei presunti “incarichi fittizi” di due figli e della moglie, e anche lei, madame Penelope Fillon, dovrà presentarsi davanti ai giudici a metà marzo. Ma Fillon non si ritirerà dalla corsa presidenziale. L’aveva già annunciato la scorsa settimana: “Anche se l’indagine dovesse spingersi oltre, non mi ritirerò”. A mezzogiorno il candidato alle presidenziali francesi dei Républicains ha parlato in una conferenza stampa nel suo ufficio elettorale di Parigi, organizzata in fretta e furia per raffreddare le penne isteriche di certi giornalisti. Nelle prime ore di questa mattina era circolata la voce che sua moglie Penelope fosse addirittura già in carcere, “no, è a casa e sta benissimo” ha tagliato corto una fonte “molto vicina” a Fillon, mentre la cancellazione in extremis della visita alla fiera dell’agricoltura di Parigi sembrava confermare i sospetti più maliziosi. L’annuncio di stamattina ha dunque zittito anche chi sussurrava che Alain Juppé, arrivato secondo alle primarie del partito a novembre, era il suo sostituto in pectore come candidato presidenziale. Dunque sarà Francois Fillon a correre, non ci sono più dubbi, per la carica più alta dello stato. Nonostante le indagini ufficializzate. Ma poco dopo l'annuncio del candidato dei Republicains, si è dimesso in disaccordo il suo consigliere per gli Affari esteri, Bruno Le Maire. L'ex ministro dell'Agricoltura ha fatto sapere su Twitter di volere lasciare il team del comitato elettorale di Fillon che, secondo Le Maire, avrebbe dovuto rispettare la promessa di ritirarsi dalla corsa all'Eliseo nel caso fosse stato coinvolto in un'indagine.
Ma Fillon ha detto che non si ritira “per il rispetto del suffragio universale” contro coloro che “hanno fatto di tutto per impedirmi di essere candidato ma non accetto questo assassinio politico. Vado avanti”. Fillon ha attaccato sia la magistratura che la stampa, entrambi, secondo lui, colpevoli di aver orchestrato una campagna politica di diffamazione basata semplicemente “su un rapporto di polizia”. Il tutto sarebbe stato fatto con un tempismo calcolato, visto che entro il 17 marzo (due giorni dopo l’incontro fissato con i giudici) dovranno essere presentate le candidature appoggiate dai grandi elettori, con il risultato che “lo stato di diritto è stato sistematicamente violato” e “la presunzione d'innocenza è sparita”. Fillon ha anche detto che andrà dai giudici “a dire la mia verità” sugli incarichi di collaborazione dei suoi famigliari, concludendo con una nota patriottica: “La Francia è più grande dei miei errori. La mia volontà di servire la Francia è più grande delle accuse contro di me”.
Le accuse sono note da settimane, ormai: Penelope, la moglie gallese, avrebbe ricevuto 800 mila euro come sua assistente parlamentare senza aver mai neppure avuto un pass d’ingresso per l’Assemblée nationale. I figli sarebbero stati assunti come assistenti dell’allora senatore Fillon (la legge francese non impedisce di impiegare con soldi pubblici parenti e amici, ma è necessario dimostrare che poi il lavoro è stato svolto) quando erano ancora studenti. Ma il clan Fillon rimane compatto e dice che “no, non abbiamo fatto nulla di male” e “sì, crediamo ancora nella giustizia”, nonostante tutto il paese stia assistendo a quello che sembra un brutto scherzo dei giudici. Il tutto a spese del capitale politico del candidato dei Républicains, che quando vinse le primarie del centrodestra (a sorpresa) sembrava avesse la strada spianata verso l’Eliseo.
Al secondo turno, lo si dava per scontato, sarebbero andati lui e Marine Le Pen, la candidata del Front national, in un revival rassicurante del ballottaggio Chirac-Le Pen padre del 2002: rassicurante perché, col sistema francese a due turni, la sinistra avrebbe votato compatta per i gollisti, con il solito, drammatico senso di sacrificio gauchista per la Patria, assicurando la vittoria al centrodestra. Il copia e incolla dei pronostici di allora all’oggi sarebbero giustissimi, se non fosse per l’ondata sovranista intercorsa nel frattempo. Oggi è tutto molto diverso, per due ragioni principali. Primo: la candidata del Front national, scrollatasi di dosso gran parte dell’antisemitismo del padre, è tutt’altro che impresentabile e nei sondaggi vola sopra il 25 per cento. Secondo: l’Europa, contro cui pure tuonava Le Pen padre, è ai minimi storici di popolarità e la carta del sovranismo, in questa tornata elettorale, ha visto decuplicato il suo valore politico.
Non a caso, infatti, Fillon è un candidato piuttosto atipico per la destra gollista: è liberale in economia ma con accenti notevoli di nazionalismo, è filo russo e ha un’idea dell’Europa che mantiene ben saldo il principio della sovranità intoccabile: si dice in sintesi tatcheriano in economia e conservatore sulla società. Da quando è scoppiato lo scandalo cosiddetto Penelopegate, i sondaggi hanno segnato un calo di consensi, compensato dall’ascesa di Emmanuel Macron e del suo movimento europeista “En Marche!”: ma nell’anno in cui c’è poca propensione al rischio, l’elettorato dei Républicains risulta molto meno volatile di quello di Macron.