Il ruolo di Obama in un'inchiesta insabbiata dalla cronaca
Dopo il caso Flynn il procuratore generale Sessions accerchiato per i contatti con l’ambasciatore Kislyak. Un’inchiesta del Nyt spiega il contesto
Roma. Il procuratore generale Jeff Sessions ha risposto con aria di sfida ai cronisti che gli domandavano se si autoricuserà dall’inchiesta sulle interferenze del Cremlino nelle elezioni americane dopo che il Washington Post ha documentato due incontri fra lui e l’ambasciatore russo, Sergei Kislyak, durante la campagna elettorale: “Se opportuno, lo farò”, ha detto, intendendo naturalmente che in questo caso non è affatto opportuno. Non la pensano allo stesso modo il capogruppo repubblicano alla Camera, Kevin McCarthy, e il capo della commissione per il Controllo degli affari istituzionali, Jason Chaffetz, che hanno suggerito a Sessions di farsi da parte nell’inchiesta, se non altro per ragioni di prudenza e rispetto della “fiducia del popolo americano”.
I democratici si sono divisi fra quelli che domandano la ricusazione e quelli che, come la leader della Camera, Nancy Pelosi, chiedono direttamente le dimissioni del procuratore, facendo leva sul pesantissimo precedente di Michael Flynn. Il consigliere per la Sicurezza nazionale originariamente scelto da Trump è stato licenziato per avere avuto contatti con Kislyak dopo le elezioni, arrivando, secondo fonti dell’intelligence, fino a dettare alla controparte la strategia per reagire alle nuove misure punitive imposte da Barack Obama alla fine del 2016. Sotto giuramento, Flynn aveva negato di avere avuto le conversazioni che sono state intercettate dall’Fbi, e nei briefing ha mentito al vicepresidente, Mike Pence, sulla circostanza. Donald Trump lo ha licenziato perché era venuta meno la fiducia fra loro, non perché ravvisasse una violazione della legge.
Gli avversari del presidente ora vorrebbero trasformare Sessions nella seconda tessera di un domino che cade sotto la spinta delle collusioni con la Russia. Il caso ha però caratteristiche diverse da quello di Flynn. L’allora senatore dell’Alabama ha incontrato l’ambasciatore russo due volte, una a luglio e l’altra a settembre del 2016. Nella prima circostanza, Kislyak e altri diplomatici si sono avvicinati a Sessions dopo un incontro ai margini della convention repubblicana. Alla seduta era presente una cinquantina di diplomatici, ed è prassi che il dipartimento di stato organizzi incontri di questo genere. La seconda volta, invece, Sessions ha incontrato Kislyak nel suo ufficio a Capitol Hill.
Il portavoce del procuratore generale dice che nel corso del 2016 ha incontrato venticinque ambasciatori, declassando il meeting contestato a semplice prassi istituzionale per un membro della commissione per le Forze armate. Eppure per due volte, durante le audizioni del Congresso per la conferma della nomina, Sessions ha negato collegamenti con funzionari del Cremlino: “Non ho avuto comunicazioni con i russi”. Dopo l’articolo del Washington Post, il messaggio è leggermente cambiato: “Non ho mai incontrato funzionari russi per discutere di questioni della campagna elettorale”. Il procuratore generale, insomma, dice di non aver incontrato Kislyak o suoi colleghi russi nella sua funzione di consigliere e “surrogate” di Trump, il che non esclude che lo abbia visto nella semplice qualità di senatore o che non ricordi precisamente i dettagli di contatti magari brevi e formali. I democratici hanno irriso queste amnesie selettive già viste nel caso Flynn, e la senatrice di sinistra Claire McCaskill ha twittato assertiva: “Sono stata per dieci anni nella commissione per le Forze armate. Nessuna chiamata o incontro con l’ambasciatore russo. Mai”. Sennonché lei stessa per due volte negli ultimi anni su Twitter ha parlato dei suoi incontri con diplomatici russi. Un’inchiesta del New York Times che è stata risucchiata dalle priorità della cronaca illumina il contesto del caso Sessions: i funzionari dell’Amministrazione Obama, scrive il quotidiano, nelle ultime settimane hanno lavorato per lasciare più tracce possibili sui collegamenti fra il governo che si sarebbe insediato di lì a poco e il Cremlino. Ora i casi emergono in superficie, uno per volta.
I conservatori inglesi