“Mi manca Bin Laden”
Meklat aveva stregato i tartufi, i giornali e la bella gente di Francia. Intanto twittava come uno dell’Isis
Roma. I bianchi? “Devono morire il più presto possibile”. Hitler? “Fatelo entrare per uccidere gli ebrei”. Charlie Hebdo? “Vorrei sputare catarro nella bocca di Charb” (il compianto direttore Stéphane Charbonnier). Marine Le Pen? “Vorrei tagliarle la gola”. Alain Finkielkraut? “Vorrei rompere le gambe a questo figlio di cagna”. Bin Laden? “Mi manca”. Mohammed Merah (l’autore della strage di Tolosa)? “Trovo la sua frase ‘amo la morte come voi amate la vita’ di una bellezza sorprendente”. Mehdi Meklat twittava così sotto pseudonimo quando era la firma di punta di Bondy Blog, fenomeno giornalistico e simbolo della Francia multiculti, creato nel cuore della banlieue parigina. Ogni giorno l’affaire Meklat si nutre di un particolare che ne sta facendo, secondo Pascal Bruckner, “il Titanic della gauche”. I giornali sono in profondo imbarazzo. “Mehdi Meklat ha attraversato a tutta velocità tutti i livelli di notorietà dei media: con Pascale Clark su France Inter, su Télérama (‘i ribelli del Bondy Blog’), autore per le edizioni Seuil, Christiane Taubira che accetta di posare con lui sulla copertina di Les Inrocks”, ha scritto ieri il settimanale Le Point.
François Hollande era un follower di Meklat su Twitter, la direttrice di Elle Marie-Françoise Colombani ne era la “madrina spirituale”, la radio del servizio pubblico gli aveva dato una rubrica, la Fondazione Cartier lo omaggiava, e tutti i quotidiani, da Libération al Monde, ne ospitavano blog e scritti. Sempre sul Point ieri Bernard-Henri Lévy ha attaccato “l’indulgenza di chi aveva fatto di quest’uomo una sorta di portavoce della ‘cultura alternativa’ delle periferie”. Il caso non riguarda solo Meklat, ma Bondy Blog appunto, che aveva incassato gli elogi della stampa di mezzo mondo, tra cui il New York Times. Il governo francese lo aveva finanziato, assieme a Yahoo con 50 mila dollari. Gilles Kepel già a novembre aveva accusato Bondy Blog di essere la cassa di risonanza dei Fratelli musulmani. Il 30 settembre 2014, al cinema-André Malraux a Bondy, ci fu la prima del documentario di Julien Dubois, “Bondy Blog, ritratto di famiglia”. Perché su Meklat e soci si facevano anche film. In prima fila si presentò Hollande. Il sito per cui Meklat ha firmato duecento articoli organizzava con la Scuola di giornalismo di Lille concorsi aperti alle famiglie povere. Nacque anche il programma tv “Caffè Bondy Blog”. Proprio sul Bondy Blog, Meklat pubblicava articoli simpatetici verso i terroristi islamici, come Abdelhamid Abaaoud, la mente delle stragi del 13 novembre 2015 (“Abaaoud, un visage qui vous veut du mal”).
“Claude Askolovitch, l’Obs, Les Inrocks, Libération… queste persone difendono l’indifendibile”, attacca Philippe Val, l’ex direttore di Charlie Hebdo. Nessuna associazione antirazzista ha ancora mosso un dito contro Meklat, quelle sempre pronte a portare in tribunale scrittori e giornalisti “islamofobi”. Così ci ha pensato il Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche in Francia (Crif) ad annunciare una “azione legale” contro il giornalista, mentre il delegato interministeriale per la lotta al razzismo, Gilles Clavreul, dice che “la difesa di Meklat è vile”. Perché i media relativizzano, proteggono il loro bambino burlone, lo bacchettano sulle dita chiedendogli di scusarsi. Pascale Clark, che ha ospitato per anni Meklat nel suo show radiofonico, ne elogia “l’intelligenza e l’umanità”, mentre Xavier de La Porte su France Culture accusa se stesso: “Deve esserci qualcosa di Meklat troppo complicato per noi da comprendere”. Invece lo si comprende fin troppo bene. Per questo Mehdi Meklat imbarazza tanto i tartufi di Francia.