Il premier-teflon d'Olanda
La coerenza cortese di Rutte contro “il tipo sbagliato di populismo”
Bruxelles. Le elezioni di domani in Olanda sono il “quarto di finale” della partita per fermare il “tipo sbagliato di populismo”, ha detto ieri il primo ministro Mark Rutte: “La semifinale sarà in Francia in aprile e maggio” con le presidenziali. “Poi in settembre in Germania c’è la finale”. “Voglio che l’Olanda sia il primo paese a fermare questo trend del populismo sbagliato”, ha spiegato Rutte. Eppure, per farlo, il premier olandese e leader del Partito popolare dei liberali e democratici (Vvd) non ha esitato a sporcarsi le mani con quello che molti considerano populismo. Dall’inizio della campagna, senza arrivare agli eccessi del leader anti islam e anti europeo Geert Wilders, Rutte ha scelto di ricorrere a una retorica molto più dura sui temi – immigrazione, identità nazionale, Europa – prediletti dal suo rivale del Partito della libertà. Il 23 gennaio Rutte ha comprato una pagina di pubblicità sui quotidiani per dire di capire “il malessere crescente” degli olandesi “di buona volontà” verso gli stranieri che minacciano le libertà, malgrado siano “venuti nel nostro paese per trovarle”. Lo slogan per vincere il quarto di finale contro il populismo è diventato il messaggio agli immigrati: “Fate le cose normalmente o andatevene”. Da allora lo ha ripetuto a ogni comizio, incontro o mercato. Con il passare delle settimane, Wilders si è sgonfiato (almeno nei sondaggi) e ora si attende la terza vittoria consecutiva di Rutte.
In Olanda Rutte è soprannominato “il premier-teflon”. Resistente e scivoloso. Nei suoi sette anni al governo – un tempo relativamente lungo per la politica olandese – si è fatto notare soprattutto per la capacità di andare avanti imperturbato e imperturbabile, con il sorriso e i toni cortesi, dopo gaffe (libertà di espressione per i negazionisti), scandali (le dimissioni del ministro della Giustizia), grandi tragedie (come l’abbattimento del volo MH17), un referendum sull’Europa (il “no” all’accordo di associazione con l’Ucraina). Dal 2010 al 2012 Rutte aveva dovuto contare sull’appoggio esterno di Wilders per far sopravvivere un governo di minoranza con i cristiano-democratici del Cda. Cinque anni fa aveva compiuto una rapida piroetta politica, scegliendo come alleati i laburisti del PvdA. Adesso è pronto a una coalizione tetra-partito, associando liberali di destra e liberali di sinistra (i D66), cristiano-democratici e laburisti. All’occorrenza, nel cassetto ha pronto il pentapartito con i Verdi (la vera sorpresa di queste elezioni). “Globalist” e pro riforme, Rutte è riuscito a gestire una bolla del credito sul punto di scoppiare e può rivendicare una crescita al 2,1 per cento, un avanzo di bilancio e una disoccupazione al 6 per cento. Europeista critico, Rutte ha pianto per la Brexit, ma ne ha tratto vantaggio: gli olandesi si sono messi a amare un po’ di più l’Ue.
Il voto di domani non si gioca sull’economia o sull’Europa. Tra Rutte e Wilders lo scontro è sull’identità. E il premier-teflon si era mosso più di un anno fa, quando l’Olanda assunse la presidenza di turno dell’Ue mentre l’Ue era sull’orlo del collasso per la crisi dei rifugiati. All’epoca Rutte la mise più o meno così: o entro marzo gli arrivi in Grecia si azzerano, oppure finisce Schengen e dunque l’Ue. Poi con Angela Merkel negoziò lo sporco accordo con la Turchia. La lotta a Wilders ha origine lì. Nella testardaggine di un europeista più pragmatico che idealista, e che forse ha salvato l’Europa dalla più grave delle sue crisi esistenziali.