Lo simpatica République à la Marine
Superficiali impressioni dal divano (dunque le più importanti) su un débat presidenziale tra gente preparata. Ha vinto Le Pen, l’argent è un problema per Macron. Fillon chissà
Molto, molto simpatici. Preparati. Una bella lingua. I débatteurs per le presidenziali francesi hanno dato un ottimo spettacolo, lungo tre ore e mezza senza un momento di noia (breve interruzione solo per la pipì delle mie canuzze, quando si trattava di energia, oops). Erano in cinque a parlarsi addosso compostamente, apostrofandosi di tanto in tanto, rivolgendosi al loro pubblico e a quello generalista, sospeso, con una certa efficacia. Che invidia, non c’era Alfano, non c’era Grillo, no Salvini, un Di Maio-io-io l’avrebbero cacciato a pedate, la gauche socialista e comunista (Hamon e Mélenchon) evitava rancori purulenti e procedeva con rassegnata malizia ma senza bersanismi stanchi, la loro Meloni è nazional-popolare non romanesca, il Renzi della situazione (Macron) non era troppo impegnato nella “manutenzione del glamour”, cercava di andare al sodo. E questo per il colore che è spesso la cosa più superficiale dunque la più importante.
Chi ha vinto è chiaro: Marine Le Pen. Il pregiudizio antifrontista di cui sovente chiacchiero, e che i miei amici conservatori liberali considerano decisivo per il risultato finale, forse c’era ancora nell’aria, ma non si è fatto vedere, il dibattito a cinque lo ha reso fantasmatico, lei era una dei cinque, una in corsa per l’Eliseo, e a sorpresa il carattere alla fine distruttivo della sua rottura con l’Europa, del suo nazionalismo identitario au nom du peuple, la storia di razzismo e antisemitismo della sua filiera partitica, della sua famiglia politica, tutto questo è scomparso, sembrava il suo un programma di sala per la rappresentazione teatrale della normalità (solo il gaullista lame duck Fillon ha tentato un affondo allarmista contro le false promesse e l’uscita dall’euro, ma era credibile fino a un certo punto).
Macron è andato bene, ma non benissimo, come si prevedeva. Risulta acerbo, la statura c’è e non c’è, è irritabile facilmente, si espone al sorriso sarcastico delle vecchie volpi della politica che non vogliono finire in pellicceria in nome del nuovo che Macron rappresenta e che ha valorizzato, ma con prudenza (in Francia il ceto politico della gavetta è detestato come ovunque in Europa, ma un poco di meno, la carica presidenziale è affare di expertise e carriera politica). Il punto debole del giovane candidato è l’argent, il denaro, che nella Parigi di Balzac è la sostanza delle cose e il simbolo falso del male, il male assoluto. E Macron, accusato da destra e da sinistra di essere uomo delle lobby capitalistiche, non ha trovato, nella parte di Rastignac, tono e argomenti giusti per dirsi per quello che è, indulgeva alla lagna, prometteva querele per diffamazione a chi lo accusava di conflitto di interessi eccetera. Sì, a un certo punto si è dichiarato orgoglioso del suo passato di banchiere, ma si vedeva che sapeva di rischiare e che gli altri godevano di brutto. Il dibattito lo affatica, si vede che non è cosa sua, ma alla fine bisogna dire che se l’è cavata: chiaro e distinto anche quando era un po’ fumoso, mai demagogico, un tipo nuovo di politico che non proclama di voler superare l’orizzonte della Quinta Repubblica ma la vanifica con la sua sola presenza modernizzante.
Fillon era razionale, normale, con buone frecce programmatiche e il senso di una esperienza compiuta, rotonda, solida, non è stato messo alle corde sui suoi fatti personali sotto indagine, la convenzione del rispetto reciproco ha retto fino in fondo, il travaglismo non è di moda qui, e lui è sembrato uno di carattere che i manettari e gli sparlatori li manda a quel paese, e insiste nonostante una evidente debolezza da candidato a una posizione terza, dunque fuori gioco, ma chissà. Al gaullista si opponevano simmetricamente il comunista oratorio e simpaticissimo, Mélenchon, e Hamon il socialista residuale, che ha esagerato in mixité, insomma il multiculturalismo una volta di moda che ora perde copie e appeal, e in police de proximité, come rispondere al jihadismo e all’insicurezza percepita con i vigili urbani. Infatti è sulla sicurezza e la laicità che i toni si sono accesi decisamente, ma nemmeno Marine ha affondato il colpo sui territori perduti della République, sul rimpiazzo del popolo francese da parte dell’immigrazione islamica vista à la Houellebecq, sulla condizione di vita sotto minaccia di certe donne modernizzate in certi quartieri.
Rimandate le previsioni a dopo l’elezione, va notato un fenomeno. I due che al 90 per cento resteranno fuori, il comunista e il socialista posthollandista, hanno agitato due temi che nel tempo del numérique, del digitale, dell’automazione, e chiamatelo come volete, hanno una spettrale attualità controcorrente, sembrano idee trasversali, e forse lo sono, che uniscono amici e nemici del capitalismo: la riduzione dell’orario di lavoro e il revenu de base. Fillon ha opposto ragionevolmente che in Germania hanno fatto le riforme liberali risparmiate alla Francia, e infatti lì le cose vanno meglio senza le 35 ore, la fissa di Mélenchon, per non parlare del reddito esistenziale universale che è la trovata di Hamon. Ma lo spettatore da divano, il couch potato televisivo che fui per una sera, percepiva nonostante il suo lavorismo old fashion una strana attualità della cosa, l’attualità di un ozio necessario in visione strategica. E’ un problema da studiare meglio: se le macchine sostituiscono il lavoro e lo rendono raro e prezioso, qualcosa bisognerà pur fare, ecco, restiamo alla superficie che è il cuore della realtà.