Jean-Claude Juncker (foto LaPresse)

Liberi nel mercato

David Carretta

Il protezionismo di Trump dà una duplice occasione all’Europa per salvarsi anche dai populismi

Bruxelles. Di fronte agli “Stati protezionisti d’America”, l’Unione europea si sta organizzando per tentare di riempire il vuoto lasciato dall’America di Donald Trump nella leadership della globalizzazione. Nel fine settimana a Baden Baden il segretario al Tesoro americano, Steven Mnuchin, ha rifiutato di sottoscrivere l’impegno del G20 di “resistere a tutte le forme di protezionismo”, confermando l’intenzione dell’Amministrazione Trump di abbandonare il ruolo di motore del libero-scambio nel mondo. Lungi dal cedere al panico, per una volta l’Ue non ha atteso la formalità di una riunione dei ministri delle Finanze del G20 per rispondere al protezionismo di Trump.

  

 

Il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, e quello della commissione, Jean-Claude Juncker, oggi accolgono il premier giapponese, Shinzo Abe, per dare nuovo impulso ai negoziati su un accordo di libero scambio tra Ue e Giappone. L’incontro è stato organizzato all’ultimo minuto. I tre leader dovrebbero annunciare la volontà di arrivare a un accordo entro la fine dell’anno. “Nell’attuale situazione internazionale, dopo il ritiro degli Stati Uniti dalla Trans-Pacific Partnership, dobbiamo rafforzare i legami commerciali”, spiega al Foglio un diplomatico europeo. La commissaria al Commercio, Cecilia Malmström, vuole accelerare anche i negoziati con Mercosur e Messico. Ma l’Ue potrebbe spingersi oltre, perseguendo una nuova relazione commerciale ambiziosa anche con attori più controversi del Giappone o dei paesi dell’America latina. All’ultimo Consiglio del 9 marzo, i capi di stato e di governo hanno sottoscritto l’impegno a “rafforzare le relazioni commerciali con la Cina in base a una comprensione comune dei vantaggi reciproci”.

 

La rottura con la globalizzazione di Mnuchin a Baden Baden potrebbe essere soltanto il primo segnale dell’istinto protezionista dell’America di Trump. Mike Allen ha raccontato nella sua newsletter che Trump ha trascorso il weekend a Mar-a-Lago con il suo segretario al Commercio, Wilbur Ross. Risultato: già questa settimana il presidente potrebbe firmare cinque decreti che dovrebbero servire da base per la sua agenda commerciale aggressiva contro il resto del mondo.

 

I leader europei sono preoccupati, ma vedono nel protezionismo di Trump anche una duplice occasione, economica e politica. Oltre a rubare il posto dell’America come motore della globalizzazione, il trumpismo potrebbe aiutare l’Ue a convincere la sua opinione pubblica dei benefici del libero commercio e a invertire l’onda populista. “Questo è un buon momento per confermare al livello più alto l’importanza della finalizzazione dell’accordo di libero scambio tra Ue e Giappone”, spiega al Foglio un’altra fonte europea. Dopo l’approvazione del Ceta con il Canada, per l’Europa si aprirebbe un nuovo mercato che permetterebbe di esportare un po’ di tutto, dai prodotti agricoli ai treni ad alta velocità. “L’accesso di prodotti chiave” in Giappone è condizione indispensabile alla conclusione dell’accordo, spiega la fonte. Sul piano politico, il commercio fa parte dei “piani europei per un futuro post populista”, come li ha definiti ieri sul Wall Street Journal Simon Nixon. Rafforzata dalla sconfitta di Geert Wilders in Olanda, ringalluzzita dai sondaggi in Francia e Germania, l’Ue è determinata a avere un futuro grazie anche al commercio. L’Eldorado commerciale con la Cina rischia di rivelarsi molto più complicato. La cancelliera tedesca, Angela Merkel, guida il partito pro cinese dentro l’Ue.

 

In una riunione della Commissione del 8 febbraio, Juncker si è detto “favorevole all’idea di approfondire la strategia globale dell’Ue nei confronti della Cina”. Alcuni commissari hanno sottolineato che, vista “l’evoluzione attuale del paesaggio geopolitico” sarebbe opportuno “allargare le relazioni bilaterali con la Cina”. Il primo passo dovrebbe essere “un gruppo di lavoro” incaricato “di definire un’agenda politica positiva con la Cina sulla base di interessi comuni sulla scena internazionale”. Ma, al di là dei contenziosi sull’acciaio, i comportamenti cinesi frenano gli entusiasmi. “Liberalizzare il commercio con la Cina sarebbe una follia”, spiega un funzionario: “Quando un’impresa europea apre una fabbrica in joint venture, un anno dopo si vede aprire un concorrente cinese affianco che produce a prezzi più bassi. La joint venture europea chiude e i cinesi si prendono la tecnologia a costo zero”. 

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