Le strumentalizzazioni dopo Londra: business as usual
Farage, Le Pen & Co. in coro: “L’attacco di Londra dimostra che dobbiamo chiudere le frontiere”
Milano. Oggi non cambia nulla, business as usual, hanno ripetuto orgogliosi i leader politici britannici nel giorno dopo l’attacco a Westminster. Si sono innamorati di una scritta sulla lavagnetta all’ingresso della metropolitana, che era un fake ma un fake talmente perfetto che è finito sulle tv e in ogni feed di Twitter, secondo quel principio di verosimiglianza spesso fallace: “Tutti i terroristi sono gentilmente pregati di ricordarsi che questa è Londra e qualsiasi cosa ci farete berremo il tè e andremo avanti allegri”. Il business as usual è un’arma a doppio taglio, a volte significa che torniamo alla normalità e ignoriamo quel che è stato, tutti struzzi molto allegri, ma questa è Londra e le dichiarazioni fiere venivano dopo una giornata in cui la polizia e le istituzioni avevano dato lezioni a ciglio asciutto di rapidità, efficacia e buon senso al resto del mondo, lasciando ai media l’umiliazione di dare notizie strampalate e non verificate. Il business as usual è anche un lasciapassare alle strumentalizzazioni, dopo il dovuto cordoglio, e così, quando ancora non si conosceva il profilo dell’attentatore di Westminster, Nigel Farage, animatore della Brexit e della campagna anti immigrazione, era già stato invitato dalla Fox News americana un paio di volte per ricordare a tutti, anche agli amici trumpiani, che è venuto il momento “per i nostri politici di chiedere scusa”: “Abbiamo fatto errori tremendi nel nostro paese – ha detto l’ex leader degli indipendentisti dell’Ukip – E tutto è cominciato con l’elezione di Tony Blair nel 1997, che disse di voler costruire un Regno Unito multiculturale. Il suo governo disse anche che aveva mandato propri emissari a trovare immigrati da tutto il mondo per invitarli a stare nel nostro paese, e sapete cosa? Credo che non ne abbiamo controllato nemmeno uno”. Aprendo le porte “si invitano terroristi”, ha aggiunto Farage, “ciò che questi politici hanno fatto in 15 anni condizionerà la storia del nostro paese per i prossimi cent’anni”.
Nigel Farage non aveva bisogno di attendere il profilo del terrorista di Westminster, perché è il modello multiculturale britannico a essere erroneo secondo lui, mentre molti esperti, che già da ore dicevano che questo è il primo test terroristico del premier Theresa May, aspettavano di capire da che parte sarebbe partito l’attacco: errore dell’intelligence? Errore della May, che è stata ministro dell’Interno per sei anni prima di diventare premier e quindi ha responsabilità politiche rilevanti per la gestione dell’immigrazione, nuovi arrivati e stranieri da integrare? In realtà la domanda, fin da subito, è stata un’altra: hai scelto di fare la Brexit nella sua forma più dura, fuori dal mercato comune, principalmente per poter gestire in modo autonomo il flusso migratorio (pur essendo già fuori da Schengen), ma davvero questo ti può proteggere dalla minaccia del terrorismo?
A cinque giorni dall’attivazione della procedura di uscita dall’Unione europea la risposta pare negativa, ma l’istinto alla chiusura come forma di protezione assoluta continua a rimanere forte, anche tra i partner ideali di Farage e dei suoi alleati, in particolare di quell’Aaron Banks, primo finanziatore dell’Ukip in rotta con la nuova leadership e alle prese con un nuovo progetto politico, un Ukip 2.0, in cui il duo si rinsalderà ulteriormente. La premier polacca, Beata Szydlo, ha detto alla tv privata Tvn24: “Sento spesso ripetere in Europa: non fate connessioni tra la politica migratoria e il terrorismo, ma è impossibile non farle”. La Szydlo considera l’attacco di Londra la dimostrazione ultima della bontà della sua scelta di non accettare rifugiati, e di non farsi dettare quote o regole dall’Unione europea. Poco importa se l’attentatore Khalid Masood non è un rifugiato né un immigrato, perché anche Marine Le Pen, leader del Front national francese che guarda alla Brexit come a un esempio da seguire (tra i feriti ci sono anche tre piccoli studenti francesi), ha detto: “Oggi abbiamo un problema, che è quello di questo terrorismo low-cost. Dobbiamo controllare i nostri confini”. Non è chiaro come un controllo dei confini avrebbe potuto evitare l’attacco di Londra, ma alla Le Pen e ai suoi alleati non importano i piani di fattibilità, i muri che possono disgregare l’Europa sono comunque benvenuti. Ed è appena ironico il fatto che oggi la leader frontista sia in visita a Mosca, che sulla fragilità europea ha scommesso buona parte del suo capitale politico.