Come l'islamismo attacca ancora il ventre molle d'Europa
Un anno esatto dagli attacchi di Bruxelles. “Tutte le moschee della capitale Ue sono nelle mani dei salafiti”
Roma. Un anno fa, un commando di kamikaze assalta l’aeroporto Zaventem di Bruxelles e le fermate della metropolitana della capitale belga: 32 morti e 340 feriti. I jihadisti avevano ordito tutto a Molenbeek, da dove erano arrivati anche gli attentatori del 13 novembre di Parigi. Un anno dopo, che ne è della promessa delle autorità belghe, dal re Filippo al premier Michel, di una “risposta ferma” al terrorismo? Poca cosa. Anche a giudicare da quanto ieri ha detto il sindaco di Bruxelles, Yvan Mayeur, al giornale De Morgen: “Tutti sanno che tutte le moschee di Bruxelles sono nelle mani dei salafiti”, ovvero dell’islam più radicale e violento. La polizia belga ha scoperto intanto che a Molenbeek 51 organizzazioni non governative hanno “legami con i terroristi” e sono stati compiuti raid e perquisizioni in 8.600 abitazioni per un totale di 22.668 abitanti, un quarto di tutti i cittadini di Molenbeek. Oggi l’intelligence belga monitora costantemente 6.168 persone solo a Molenbeek. E’ un esercito. Ma nell’hub jihadista, l’opposizione all’antiterrorismo inizia dall’alto, dal vicesindaco Ahmed Khannouss, che ha condannato le perquisizioni “ingiustificate”: “Pensavamo che queste pratiche fossero finite con la Seconda guerra mondiale, quando le persone furono prese di mira per la loro religione”, ha detto Khannouss. A febbraio, l’Unità di analisi delle minacce (Ocad) del Belgio ha denunciato che l’“islam radicale” sta conquistando cuori e menti a danno dell’“islam moderato” istituzionale.
L’Ocad rivela che il salafismo sta lavorando per “cambiare la società belga e renderla più islamica. “Un numero crescente di moschee e centri islamici in Belgio sono sotto l’influenza di un apparato di proselitismo wahabita e salafita. Sempre più moschee a Bruxelles, Anversa e Malines sono strettamente wahabite”. Per questo la Grande Moschea di Bruxelles è stata convocata in questi giorni di fronte alla commissione d’inchiesta sugli attentati. Come usano i fondi che arrivano copiosi dall’Arabia Saudita? Oggi i salafiti hanno anche i loro canali satellitari a Bruxelles. A Molenbeek, il novanta per cento degli studenti considera gli attentatori di un anno fa degli “eroi”. C’è anche un motivo demografico se Molenbeek è chiamata “la Gaza d’Europa”. Mentre la regione ha una media di 7.209 abitanti per chilometro quadrato, a Molenbeek è quattro volte tanto: 26.515. E continua a crescere. Due giornalisti, Christophe Lamfalussy (La Libre) e Jean-Pierre Martin, hanno appena pubblicato un libro, “Molenbeek-sur-Djihad” (Grasset), in cui accusano i politici di essersi “identificati con il proprio elettorato”. In pratica, l’islam radicale chiedeva e i politici socialisti di Molenbeek elargivano in cambio di voti. “E’ chiaro che abbiamo troppo poche moschee a Molenbeek”, ha detto ieri il borgomastro di Molenbeek, Françoise Schepmans. Poche moschee? A Molenbeek? Sono venticinque, cui vanno aggiunti sedici locali di preghiera. Lamfalussy e Martin nel libro scrivono che il Belgio resta il “ventre molle” d’Europa: “Questo è un paese dove la vita è buona, nessuno immaginava che sarebbe stato raggiunto dal terrorismo”. Già, chi lo avrebbe mai immaginato.
Le autorità belghe hanno appena pensato bene di contribuire alla lotta al terrorismo islamista rimettendo in libertà Malika el Aroud, la vedova del terrorista tunisino che, su ordine di Osama bin Laden, uccise il leader afghano nemico dei talebani, Ahmed Massoud, due giorni prima dell’11 settembre. Malika era in carcere in quanto ispiratrice della rete jihadista e si è scoperto che è anche legata all’“emiro” Oussama Atar, che dalla Siria avrebbe diretto gli attentati di Bruxelles. La chiamano “deradicalizzazione”. E’ la giustizia à la Molenbeek.
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