La Mecca sul Tamigi
È il “Londonistan”, il sogno di tutti i fondamentalisti islamici. Dalla Common Law ai media ossequiosi, i fanatici stanno sottomettendo le famose libertà del Regno Unito
Roma. “Londra è più islamica di tanti paesi musulmani messi assieme”. Questa frase non l’ha pronunciata un estremista di destra, ma Maulana Syed Raza Rizvi, uno dei predicatori che oggi guidano il “Londonistan”, come la capitale inglese è stata definita nel bestseller di Melanie Phillips. Il premio Nobel per la Letteratura Wole Soyinka è stato meno generoso, definendo Londra “una fogna per islamisti”. “Cesspit”, inequivocabile sta per cloaca. “I terroristi non sopportano il multiculturalismo londinese”, ha detto oggi il sindaco Sadiq Khan. E’ vero il contrario: la chiamata alla preghiera dei musulmani radicali sale sui tetti delle periferie industriali inglesi e il fondamentalismo islamico si nutre di multikulti. Esso nutre anche i tremila inglesi monitorati notte e giorno e considerati “potenziali terroristi”. Non rientrava fra questi Khalid Masood, l’inglese del Kent autore dell’attentato al Parlamento e che era giudicato “meno pericoloso”.
Il Londonistan si nutre di welfare. Terri Nicholson, vicecomandante dell’unità antiterrorismo della polizia di Londra, ha detto al Telegraph che il denaro dei contribuenti viene abitualmente utilizzato dai jihadisti. Anjem Choudary, l’imam radicale che si fa mantenere dallo stato, ha esortato i seguaci a lasciare il lavoro e a chiedere la disoccupazione per pianificare la guerra agli “infedeli”. I contribuenti pagano l’affitto a Hani al Sibai, il “mentore” di Mohammed Emwazi (Jihadi John). Abu Hamza, il predicatore egiziano, è costato 338 mila sterline in benefit; l’imam palestinese Abu Qatada 500 mila sterline e Omar Bakri, il siriano, ha ottenuto benefit per 300 mila sterline prima di essere esiliato in Libano. Il Londonistan, con le sue 423 moschee (dati da muslimbritain.org), è poi costruito sulle tristi rovine del cristianesimo inglese.
La Grande Londra è al 12 per cento islamica, con Manchester (15), Birmingham (21) e Bradford (24). Chiese vuote e moschee piene
Il quotidiano inglese Daily Mail ha pubblicato le fotografie appaiate di una chiesa e una moschea a pochi metri l’una dall’altra nel cuore di Londra. Una mostra la chiesa di San Giorgio a Cannon Street Road: dodici persone riunite per celebrare la messa, seppur progettata per ospitarne 1.230. I numeri sono simili nella chiesa di Santa Maria a Cable Street. Venti fedeli. La vicina moschea Brune Street Estate ha un problema diverso: il sovraffollamento. E’ una piccola stanza in un centro sociale e può contenere solo cento fedeli musulmani. Ma il venerdì i numeri si gonfiano fino a tre, quattro volte e i fedeli devono riversarsi per strada a pregare. Le immagini suggeriscono che, stando alle tendenze attuali, il cristianesimo in Inghilterra sta diventando un relitto, mentre è l’islam la religione del futuro. La chiesa di San Pietro su Waterloo Road, a Birmingham, per citarne una, è diventata la moschea Madina.
Mentre quasi la metà dei musulmani britannici ha meno di venticinque anni, un quarto dei cristiani ne ha più di sessantacinque. “In vent’anni, i musulmani praticanti saranno più dei cristiani praticanti”, ha detto Keith Porteous Wood, direttore della National Secular Society. In quindici anni, cinquecento chiese di Londra di tutte le confessioni sono state trasformate in abitazioni private. Tra il 2012 e il 2014, la percentuale di britannici che si identificano come anglicani è scesa dal 21 al 17 per cento, una diminuzione di 1,7 milioni di persone. Nello stesso periodo, il numero dei musulmani è cresciuto di quasi un milione, secondo un sondaggio condotto dal rispettato NatCen Social Research Institute. Lo studio “Religious Trends” parla invece del fatto che i frequentatori di chiese anglicane, cattoliche o di altre denominazioni cristiane, stanno diminuendo a una tale velocità che entro una generazione il loro numero sarà “tre volte inferiore a quello dei musulmani che vanno regolarmente in moschea di venerdì”.
Metà delle moschee ai fondamentalisti
Demograficamente, il Londonistan ha sempre più un volto islamico e ne fanno parte Birmingham, Bradford, Derby, Dewsbury, Leeds, Leicester, Liverpool, Luton, Manchester, Sheffield, Waltham Forest a nord di Londra e Tower Hamlets nella parte orientale della capitale. Nel 2015 una analisi del nome più comune in Inghilterra e Galles ha rivelato che al primo posto ci sono le variazioni di Maometto: Mohammed, Mohammad e Muhammad. In media, i musulmani rappresentano il cinque per cento della popolazione nazionale, ma nella regione della Grande Londra sono il 12,4 per cento, preceduta da Manchester (15,8), Birmingham (21,8) e Bradford (24,7). A Birmingham, dove oggi sono stati effettuati raid per smantellare la cellula terroristica che ha colpito Westminster, un bambino ha più probabilità di nascere in una famiglia islamica che cristiana. A Bradford, metà dei bambini è musulmana, come a Leicester.
Secondo il database di British Islam, soltanto due delle 1.700 moschee che ci sono oggi in Inghilterra seguono l’interpretazione modernista dell’islam, rispetto al 56 per cento negli Stati Uniti. I wahabiti controllano il sei per cento delle moschee inglesi, mentre i fondamentalisti deobandi fino al 45 per cento. Un terzo dei musulmani del Regno Unito non si sente “parte della cultura britannica”, secondo un sondaggio dello Knowledge Centre.
Dall’autocensura dei giornali su Charlie Hebdo ai teatri, passando per la Bbc: la cultura inglese è la più islamofila d’Europa
La mappa del Londonistan è costellata di corti della sharia. Sono oltre cento solo quelle ufficiali. In Inghilterra l’avvento di questo sistema giudiziario parallelo “alieno” è stato reso possibile grazie a un codice del British Arbitration Act e dell’Alternative Dispute Resolution, che classifica le corti che fanno riferimento alla sharia come “tribunali arbitrali musulmani”. Sono corti che si fondano sul rifiuto del principio di inviolabilità dei diritti umani, dei valori di libertà e di uguaglianza che sono alla base della democrazia inglese e della Common Law. Tribunali islamici sorgono a Londra, Birmingham, Bradford, Manchester e Nuneaton, nei cuori vivi della grande comunità islamica inglese. Il primo di questi tribunali venne istituito nel 1982 a Londra con il nome di “Consiglio della sharia islamica”. Queste corti formalizzano spesso il “talaq”, il ripudio della moglie da parte del marito. Numerose personalità inglesi hanno aperto all’introduzione della sharia. “La cristianità non influenza più il sistema legale, quindi le corti devono servire una comunità multiculturale”, ha detto uno dei più alti in grado fra i giudici britannici, Sir James Munby. Già Rowan Williams, ex arcivescovo di Canterbury, e il presidente della Corte suprema, Lord Phillips, avevano auspicato che il diritto inglese “inglobasse” elementi della sharia. La legge islamica avanza nelle università di Londra. Le linee guida delle università, “External speakers in higher education institutions”, prevedono che “gruppi religiosi ortodossi” possano separare uomini e donne durante gli eventi. Così alla Queen Mary University di Londra le donne hanno dovuto usare un ingresso separato e sono state costrette a sedersi in uno spazio in fondo alla sala, senza poter porre domande o alzare la mano, come a Riad o Teheran. La Società islamica alla London School of Economics ha tenuto una serata di gala, in cui donne e uomini erano separati da un pannello di sette metri. I due gruppi non dovevano neppure vedersi. Un mare di denaro islamico arriva agli atenei londinesi. La London School of Economics, ad esempio, ha ricevuto nove milioni di sterline dagli Emirati Arabi, sei dal Kuwait e tre dalla Turchia. A Luton e altrove ci sono piscine che per “ragioni culturali” tengono corsi separati per donne e uomini. Li chiamano “Alhamdulillahswimming”. La King Fahd Academy di Londra, con i suoi cinquecento allievi, è la più prestigiosa accademia islamica del Regno Unito. Ma è stata travolta da uno scandalo, quando si è scoperto che nella scuola si usano manuali in cui gli ebrei sono definiti “figli di maiali e scimmie”.
La fascinazione inglese per l’islamismo è penetrata anche nei grandi media. La Bbc, attraverso il responsabile del servizio arabo Tarik Kafala, ha stabilito che i terroristi non si devono più chiamare “terroristi”. “Cerchiamo di evitare di dipingere chicchessia come un terrorista o un’azione come in sé terroristica”, ha dichiarato Kafala. “Ciò che cerchiamo di fare è dire che ‘due uomini hanno ucciso dodici persone nell’attacco alla redazione di una rivista satirica’. Questo basta, sappiamo ciò che significa e ciò che è”. Il riferimento è alla strage di Charlie Hebdo.
L’imam Choudary diventa Gandhi sulla Bbc
Due giorni prima, la Bbc aveva mostrato i chioschi parigini che si preparavano a vendere la rivista, il personale di Charlie al lavoro, i sopravvissuti e la copertina della nuova edizione, il Maometto con una lacrima all’occhio. Solo una descrizione, però: la Bbc si è rifiutata di mostrare la vignetta. Accadde già nel 2005, dopo le bombe di Londra, quando si decise di chiamare i kamikaze “artefici dell’attacco” o “attentators”. Mark Easton, direttore per gli interni della Bbc, ha paragonato l’islamista Choudary al Mahatma Gandhi e a Nelson Mandela. “La Bbc sembra ossessionata dall’idea di dare più visibilità televisiva possibile ai predicatori d’odio”, ha detto il deputato tory Michael Ellis. Lo show Free Speech della Bbc, dedicato alla libertà di parola, ha eliminato una parte del programma in cui si affrontava il tema dell’omosessualità nel mondo islamico su pressioni e minacce della Birmingham Central Mosque. L’intervista al vignettista danese Kurt Westergaard è stata prima realizzata e poi cancellata, per paura di scatenare la reazione islamista.
La Bbc ha deciso che si possono continuare a fare battute, anche irriverenti, sul Vaticano e gli ebrei, ma non sull’islam. Lo ha stabilito Mark Thompson, direttore del servizio pubblico. La motivazione? I musulmani “sono più suscettibili”. Un musulmano, Aaqil Ahmed, è stato nominato nuovo responsabile della programmazione religiosa della Bbc, scatenando le proteste dell’allora arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams. Dopo la strage di Charlie Hebdo, non un solo grande media anglosassone ha ripubblicato le vignette su Maometto. Il peggiore fu il Financial Times con Tony Barber che diede di “stupidi” ai vignettisti francesi, mentre Sky News solerte interrompeva il collegamento pur di non mostrare il Maometto che piange, passando per tutti i quotidiani, dal sinistrorso Independent e al destrorso Telegraph, dove l’islam è stato giudicato “intoccabile”.
Neanche nei teatri di Londra è possibile più parlare di islam. Il regista Richard Bean è stato costretto a censurare un adattamento di Aristofane e della commedia “Lisistrata”, dove le vergini islamiche scioperano per fermare gli attentatori suicidi. Il Royal Court Theatre di Londra ha chiesto che il registra stralciasse l’opera. E il “Tamerlano” di Cristopher Marlowe è stato censurato al Teatro Barbican sotto la regia di David Farr. I versi su Maometto che “non merita d’essere venerato” sono spariti, come la scena in cui il protagonista brucia il Corano. Dopo l’attacco a Charlie Hebdo, pure il capo dell’Mi6, Sir John Sawers, raccomandò l’autocensura, avvertendo i britannici di non offendere l’islam se volevano evitare che i terroristi islamici lanciassero attacchi nel paese: “Se si mostra mancanza di rispetto per i valori fondamentali degli altri, allora si sta per provocare una reazione arrabbiata. Noi in occidente dobbiamo essere moderati”.
Oppure si può fare direttamente come l’ambasciatore inglese in Arabia Saudita, Simon Collis. Si è convertito all’islam e ha appena compiuto l’haji, il pellegrinaggio alla Mecca. Ora si fa chiamare Haji Collis. Il prossimo passo quale sarà, invitare l’imam Anjem Choudary a tenere una prolusione sull’amicizia fra i popoli alla Camera dei Lords?