La Germania insegna che le élite possono ritrovarsi se sanno interpretare certi guai
L'ex premier prenda appunti da quanto successo in Saarland: non è il momento di fare troppo il birichino appresso ai grillozzi e ai salvinanti
Va bene, la Saar è piccolina, ottocentomila voti. Va bene, la candidata di Merkel, Annegret Kramp-Karrenbauer aveva governato bene con una grande coalizione. Va bene, ora tocca alla Renania-Vestfalia e allo Schleswig-Holstein (in maggio), e poi a fine settembre Schulz e Angela se la vedono alle politiche. Ma intanto la Cdu che aumenta del cinque per cento (40 per cento) e la Spd che stagna sul suo trenta sono una notizia politica. Come è notizia la resistenza della Linke, minoritaria immagine della vecchia socialdemocrazia nel paese di Oskar Lafontaine, la scomparsa dei cazzoni Piraten, la scarsa appetibilità della AfD (i cosiddetti populisti arrembanti), la performance così così dei Verdi e l’immersione senza speranza dei liberali. Vedremo se su pressione di Schulz, che vuole cambiamenti nel senso di una sua in realtà incerta ma molto bandita vocazione maggioritaria, nella Saar nascerà una coalizione rosso-rosso, Linke più Spd e magari i Verdi. Oppure continuerà a governare la alleanza nazionale Cdu-Spd. Vedremo. Nel frattempo prendere atto.
La politica tedesca, con la designazione di Schulz, si è rivitalizzata. Lo nota Günter Bannas sulla Faz, giornale conservatore intelligente. Crescono gli iscritti ai partiti, sia alla Spd sia alla Cdu. Il nuovo candidato socialdemocratico ha messo il pepe del conflitto nel pantano ovvio di una Grosse Koalition in cui Angela faceva e disfaceva con i suoi meravigliosi tailleur quadrati, e lei è un talento della gestione e ha visione, ma non una trascinatrice, non proprio un oratore. Però l’idea che i partiti siano disanimati, il sistema in crisi, le élite politiche corrotte, tutto questo sparlare, Schlechtreden, ora sembra alle nostre spalle, “das ist jetzt vorbei”. Poi, nota Bannas, c’è questo movimento “Pulse of Europe”, un modo anche emotivo e culturale di scendere in strada e organizzarsi per l’Europa (che aspettiamo a fondare la sezione italiana?), da tenere d’occhio come elemento significativo del quadro entro cui la politica tedesca e continentale si svolge. E un fatto di stile, sottolineato dallo psicodramma farsesco svoltosi in America con Trump: niente attacchi personali in Germania, l’Europa è pur sempre la terra potenzialmente olimpica di Weimar, mica come quei buzzurri del Michigan, Weimar che non fu solo capitale dell’inflazione e della caduta repubblicana ma anche luogo goethiano di pace e di equilibrio classico. Ora non esageriamo. Le questioni restano.
La Germania va benone, economicamente va troppo bene e pone problemi, dunque la Le Pen sebbene in relativo calo resta minacciosa, e Putin non ha l’aria di uno che voglia fare da contrappeso all’incipiente dittatura dispiegata di Erdogan, il famoso Buttiglione turco, l’uomo che doveva fare dell’islam politico una specie di Democrazia cristiana (magari!), piuttosto tende a imitarlo. Basta però interpretare certi guai, e tra questi non va sopravvalutato né sottovalutato il grilletto della Brexit che sta per premere la May, come stimoli, come circostanze che aiutano a ritrovarsi, ecco che le élite appese a testa in giù dalla rivolta del popolo, perfino si diceva il tollerante popolo olandese con la crescita al 2 per cento e redditi da paura e niente disoccupazione, sono un’immagine apocalittica un po’ frusta. Nota bene: non è il momento migliore, per Renzi, di fare troppo il birichino appresso ai grillozzi e ai salvinanti, quello che Claudio chiama il cialtronismo populista. E il divino Berlusconi, risolto il problema del Milan, deve fare una serious list di gente impegnata e credibile, come pare stia pensando anche a costo di pescare nella Renziland. Forse la scommessa torna in zona serietà e studio e preparazione e responsabilità. Forse.