Le tre Brexit
Due opzioni a disposizione di Londra e Ue per divorziare, tre se si conta l’opzione “risposiamoci”
Bruxelles. “Questo è un momento storico, per il quale non può esserci alcun ritorno indietro”, ha detto mercoledì Theresa May davanti alla Camera dei Comuni, mentre un suo ambasciatore stava consegnando la lettera con cui il governo britannico ha formalmente notificato l’intenzione di lasciare l’Unione europea. “Non c’è ragione per pretendere che questo sia un giorno felice”, ha risposto il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, dopo aver ricevuto il documento di sei pagine con cui Londra ha attivato l’articolo 50 del Trattato che regola le procedure di divorzio. La notifica ha fatto scattare il conto alla rovescia dei due anni entro i quali il Regno Unito e gli altri 27 stati membri dovranno trovare un accordo sulla Brexit. I negoziati non inizieranno prima di maggio. Ma la lettera di May e la reazione di Tusk gettano un po’ di luce sulle difficoltà del processo che si sta aprendo. Entrambi hanno riconosciuto l’interesse reciproco per un divorzio consensuale, ma entrambi sono pronti a ricorrere alle maniere forti. Un mancato accordo sulla Brexit “significherebbe l’indebolimento della nostra cooperazione nella lotta contro il crimine e il terrorismo”, ha scritto May nella sua lettera. “Io e la Commissione abbiamo un forte mandato per proteggere gli interessi dei 27”, ha avvertito Tusk.
Falchi e colombe ormai sono conosciuti in entrambi i campi. A Londra le sponde opposte sono incarnate da Boris Johnson (“un giorno storico e emozionante”, ha twittato il ministro degli Esteri) e Philip Hammond (“non possiamo avere la botte piena e la moglie ubriaca”, ha detto il cancelliere dello Scacchiere). May cammina su un filo sottile. “Le nostre leggi saranno fatte a Londra, Edimburgo, Cardiff e Belfast”, ha detto la premier davanti ai Comuni. Ma nella lettera a Tusk ha riconosciuto che la sovranità del Regno Unito sarà limitata anche dopo la Brexit. “Sappiamo che perderemo influenza sulle regole che riguardano l’economia europea. Sappiamo anche che le imprese britanniche dovranno allinearsi con regole concordate da istituzioni di cui non saremo più parte”. Nelle capitali dei 27, il più falco di tutti è il presidente francese, François Hollande, che predice una Brexit “dolorosa per i britannici”. Ma ci sono molte colombe, come l’olandese Mark Rutte che chiede “un’attitudine realista”. Come May, anche Tusk cammina su un filo sottile. “Ci mancate già”, ha detto senza ironia il presidente del Consiglio europeo, il cui principale obiettivo nelle trattative sarà di “limitare i danni”.
“Non dobbiamo minacciarci, ma cercare di trovare una soluzione”, dice al Foglio l’eurodeputata liberale Sylvie Goulard. Un principio deve essere fermo: il Regno Unito ha “il diritto di uscire, non il diritto di cambiare l’Ue quando se ne va”. Tuttavia – spiega Goulard – “è nostro interesse trovare dei compromessi e evitare un ‘no deal’ e i britannici lo hanno già capito”. Secondo Denis MacShane, ex ministro degli Affari europei di Tony Blair, le cose più interessanti di May mercoledì ai Comuni sono quelle che “non ha detto. Non ha fatto riferimento a uscire dall’Unione doganale. Non ha detto che il Regno Unito lascerà tutte le agenzie Ue. Non ha detto che il Regno Unito smetterà di finanziare tutti i progetti Ue”. Al di là della spavalderia pubblica, il “piano A” di May è una Brexit il più indolore possibile, che preveda un accordo di libero scambio ambizioso e una stretta cooperazione politica: “Brexit means Brexit” ma non fino in fondo. E’ quello a cui sta lavorando il capo-negoziatore della Commissione, Michel Barnier: tra due anni la Brexit legale dovrebbe essere accompagnata da accordi transitori che permettano al Regno Unito di restare ancora per diversi anni con un piede dentro l’Ue. Il piano B sono le armi nucleari. Un mancato accordo sulla Brexit trasformerebbe il Regno Unito in uno qualsiasi dei membri del Wto e lascerebbe gli europei soli su intelligence e anti terrorismo. Il piano C è stato escluso da May, ma nella risoluzione che adotterà la prossima settimana l’Europarlamento lascia la porta aperta a un ritorno indietro sulla Brexit.