Presa una cellula jihadista
Arrestare o scavare di più? Il dilemma degli investigatori a Venezia
Quattro kosovari invasati e filo Isis pensavano a un attentato spettacolare e avevano "una fitta rete di relazioni"
Roma. Giovedì notte carabinieri e polizia hanno arrestato quattro persone nel centro di Venezia, incluso un minorenne, con l’accusa di essere una cellula terroristica ispirata dallo Stato islamico. I quattro sono cittadini del Kosovo, una piccola repubblica dei Balcani che ha grossi problemi di estremismo islamico e ha fornito più di trecento volontari alle guerre islamiste in Iraq e in Siria. Di questi combattenti, sessanta circa sono morti e un centinaio ha fatto ritorno in Kosovo, e tra loro anche uno degli arrestati a Venezia, Fisnik Bekaj, di 24 anni. La presenza di Bekaj è la ragione per cui in Italia sono cominciate le operazioni di monitoraggio che sono durate molto tempo, anche quando non c’erano segnali d’allarme particolari.
I dettagli trapelati dalle indagini ci fanno entrare nella testa della squadra di sorveglianza che ha monitorato i quattro e ci fanno capire che c’è stato un “periodo di studio” in cui gli investigatori avevano ormai raggiunto la certezza che fossero soggetti pericolosi ma volevano capire se ci fossero – e chi fossero – i contatti internazionali con i comandi dello Stato islamico in Siria e in Iraq. La procura ha detto che avevano relazioni “fitte” e dopo l’arresto ci sono state perquisizioni in dodici appartamenti della regione. C’è da considerare che questo tipo di lavoro è utile a livello internazionale, perché gli stessi mandanti stranieri che (forse) parlavano con i kosovari di Venezia potrebbero essere in contatto anche con altre squadre sparse in Europa. Il procuratore aggiunto di Venezia, Adelchi D’Ippolito, spiega che gli investigatori sono riusciti a inserirsi nei dispositivi dei sorvegliati (non specifica di più, ma sta parlando dei telefonini) e da lì hanno tenuto d’occhio il gruppo fino alla decisione di intervenire dopo che i quattro kosovari hanno esultato per l’attentato di Londra del 22 marzo (rivendicato dallo Stato islamico).
Le indagini citano un video di addestramento all’uso dei coltelli visto dai quattro. Si tratta di un filmato titolato “Devi combatterli, muwahid!”, dove muwahid è la parola araba per monoteista, messo su internet il 26 novembre 2016 da Raqqa, capitale siriana dello Stato islamico. Il video, in francese con i sottotitoli in arabo, è un breve manuale per attentatori all’estero: spiega come uccidere con un coltello (ci sono esempi tipo: chiedete indicazioni e quando la vittima si distrae la colpite in pancia) e come fabbricare una bomba in casa – questa seconda parte è girata proprio in una cucina. Le istruzioni su come usare il coltello sono di un francese che si fa chiamare Abu Souleyman al Firansi e sono accompagnate da una dimostrazione su una vittima ammanettata a un pilone di cemento. Un reduce dalla Siria che guarda questo tipo di filmati deve avere fatto scattare ogni genere d’allarme, e non a fine marzo.
Un secondo dettaglio interessante sono queste parole pronunciate da un attentatore: “Non vedo l’ora di giurare ad Allah. Se mi fanno fare il giuramento sono già pronto a morire”. Si riferisce alla bayah, ovvero al giuramento di fedeltà fatto al capo dello Stato islamico, Abu Bakr al Baghdadi, che rende di fatto anche un paio di baristi di piazza San Marco – come erano due arrestati – “soldati dello Stato islamico”. La bayah è il preludio a ogni attacco dell’Isis. Lo stragista di Orlando (giugno 2016, 49 vittime) l’ha pronunciata al telefono con la polizia, perché sapeva che sarebbe stata passata ai giornalisti. Anis Amri, lo stragista di Berlino, ha fatto un video con il telefonino prima dell’attacco e l’ha spedito allo Stato islamico, che poi l’ha pubblicato sui canali del gruppo. Quando il kosovaro dice: “Se mi fanno fare il giuramento…”, a chi si riferiva? Chi sono loro? Ma era troppo tardi per scavare ancora.