Uno sguardo al Venezuela per finirla col grande equivoco latinoamericano
Finché si continua a dire che il denaro è lo sterco del diavolo e il diavolo è gringo, finché si va avanti con la romanza del pueblo, ecco, i risultati sono quelli
Chavez, dicevano, ha resistito ai gringos, ha sequestrato il settore privato a favore del pubblico, del popolo, ha esibito per anni un’eloquenza castrista, rappresentava un modello di società per l’America latina. Ora un paese come il Venezuela, ricco di petrolio, è all’inferno, vive o sopravvive nella miseria più nera, morte e violenza dominano incontrastate, la democrazia elettorale è svuotata dalle cricche giudiziarie chaviste guidate da un capobastone come Maduro. Un altro modello, un altro domani che ha smesso di cantare.
Che cosa dicono adesso i chavisti europei e occidentali? Fanno finta di niente. Eludono la responsabilità dei loro sogni fattisi incubo. Intonano le vecchie canzoni castriste e cilene e boliviane e guevariste senza l’ombra della riflessione. Il Vaticano prova inutilmente a mediare. Ma la faccenda è sempre più spessa, e l’autocrazia dei figli di Chavez non promette alcunché di buono per quel paese disgraziato. Ritorna l’eterno dilemma dell’America latina, che dovrebbe essere d’insegnamento anche al Papa argentino: ci vogliono una classe media e il capitalismo con le regole necessarie per sostenere un barlume di democrazia politica e di società civile libera, di società aperta, da quelle parti. Finché si continua a dire che il denaro è lo sterco del diavolo, che il diavolo è gringo, è yankee, che gli oppressi chiedono di avere una voce e un potere esclusivo contro tutti gli altri, tutti oppressori, finché si continua con la romanza del pueblo, ecco, i risultati sono quelli. Mancano carne, pane, latte, verdura, medicine, manca l’acqua, beni di prima necessità, l’inflazione è a tre cifre, l’isolamento internazionale potrebbe portare all’espulsione di Caracas dall’Organizzazione degli stati latinoamericani, e la spirale viziosa della rivolta sociale incontrollata porta alla dittatura più o meno mascherata, alla logica della pura forza.
Gli americani di Kissinger, in Cile, si comportarono con un cinismo bestiale. Avevano due attenuanti molto relative e a loro modo impossibili da far valere di fronte al disastro poliziesco e umanitario della Junta golpista: la guerra fredda al suo culmine nero e le evidenti crisi di demenza dei radicaloidi di Unidad popular, un fenomeno di minoranza elettorale e popolare che si era preso per l’invincibile armata di un castrismo democratico e socialista sotto le insegne di un bravo medico umanista sacrificato con il suo coraggio nel palazzo della Moneda. Ma bisognerà pur riconoscere, dopo tanto tempo, tante esperienze, che i generali dei gringos un tentativo di risollevare quel paese con una cultura economica presa dalla scuola di Chicago l’hanno pur fatto, e in certi casi con successo, e che hanno ceduto il potere via referendum consentendo la rinascita della democrazia su basi più solide; mentre i generali e gli arruffapopolo castristi hanno saputo soltanto affondare i loro paesi nel torpore dell’indigenza e nella notte dell’infelicità esistenziale. Eppure volevamo arrestare Pinochet e dare il Nobel a Castro: non è una follia? E quand’è che l’argentino oggi più eminente nel mondo, il Papa Bergoglio, riconoscerà che una armata coloniale guidata da una Lady di ferro liberista e pragmatica amica del capitalismo liberoscambista ha liberato il suo paese da una genia di torturatori, alle Falkland?
Gli equivoci latinoamericani sono da sempre il pane ideologico per molti di noi che viviamo in Europa e in occidente. Vargas Llosa versus Garcia Marquez, i bravi comunisti realisti contro le follie del socialismo allegro mantenuto e manutenuto con eguale cinismo kissingeriano dalle nomenclature sovietiche. Una fetta di torta di quell’equivoco anticapitalistico, campesino, nutrito di cattivo giornalismo e di cattiva letteratura, sopravvive nell’ideologica contemporanea e ha per sé addirittura il peronismo bianco della cattedra di San Pietro e dei Gesuiti. Non sarebbe ora di finirla, dando una sguardo sul serio compassionevole e accorato, allarmato, a quel che succede, da ultimo, nella disperazione del Venezuela?