I populisti d'Europa sono più putiniani che trumpiani
L’antiamericanismo è sempre forte. "Follow the money"? La questione è più profonda di così e ha a che fare con la destabilizzazione europea, sulla quale Mosca scommette da tempo
Milano. E’ troppo aspettare “l’esito dell’inchiesta internazionale prima di colpire la Siria?”, ha chiesto ieri mattina Marine Le Pen, candidata all’Eliseo per il Front national, rimettendo in un attimo ogni cosa al suo posto. Il blitz ordinato dall’Amministrazione americana di Donald Trump contro la base aerea siriana di Shayrat è stato accolto con “sorpresa” dalla Le Pen e dai populisti sparsi sul continente e sulle isole, rivelando due cose (non inimmaginabili) sui movimenti nazionalisti e anti europei: dovendo scegliere tra Trump e Vladimir Putin si sta con quest’ultimo; l’antiamericanismo è vivo e vegeto, l’infatuazione per Trump può essere temporanea. C’è chi suggerisce: “Follow the money”, i russi aiutano finanziariamente i movimenti populisti e quindi è chiaro che ci sia, alla bisogna, maggiore lealtà nei suoi confronti. Ma la questione è più profonda di così e ha a che fare con la destabilizzazione europea, sulla quale Mosca scommette da tempo e con una certa convinzione, a differenza di Trump che probabilmente non piangerebbe se l’Europa implodesse ma quando si ritrova la Le Pen in America non smania per incontrarla.
La Le Pen “étonnée” non è sola, come lei la pensano i suoi alleati naturali: Nigel Farage nel Regno Unito, ex leader degli indipendentisti dell’Ukip, il più imbarazzato di tutti essendo stato il primo ad aver pubblicizzato con foto bling-bling e pollice alzato la sua sintonia con Trump; anche il successore di Farage, quel Paul Nuttall che non se la passa benissimo in termini di consenso, ribadisce che il blitz americano “è senza senso”; Matteo Salvini della Lega, che pure si aggirava felice con magliette trumpiane e che oggi dice che l’America, colpendo il regime di Bashar el Assad, regala la Siria allo Stato islamico; i vari esponenti della cosiddetta alt-right di qui e di là dall’Atlantico, che ora manifestano tutta la loro delusione nei confronti di Trump, che pure sembrava così determinato a non far nulla contro il regime di Damasco.
Ci sono anche altri “sorpresi”, apparentemente lontani dal mondo che gira attorno alla Le Pen, ma che in realtà sono vicini, perché in politica internazionale il nero e il rosso sono diventati di fatto un unico blocco, complice il fascino esercitato da Putin, quell’uomo forte che fa diventare forti chi s’accompagna a lui anche per un tratto breve di strada: Trump appunto, ma pure lo stesso Assad, difeso dai nazionalisti europei come il custode di una stabilità brutale e inesistente. Jeremy Corbyn, leader del Labour inglese, ha detto che il blitz di Trump in Siria causerà danni ulteriori e aiuterà le forze jihadiste a rafforzarsi, mentre l’organizzazione “Stop the War”, cui Corbyn ha dedicato per anni molte delle sue energie politiche, ha subito organizzato una manifestazione davanti a Downing Street. Ricompare questo pacifismo a senso unico, che non si muove di fronte ai bombardamenti e ai gas chimici di Assad, perché quelli sono “affari interni alla Siria” e bisogna starne fuori, ma quando c’è da gettarsi contro gli americani è immediatamente in prima fila. L’altra metà del Labour – che come il premier conservatore Theresa May pensa che un blitz simbolico contro Damasco fosse necessario – si guarda attorno con un certo fastidio, i compagni di viaggio si fanno sempre meno assimilabili: poco prima delle dichiarazioni di Corbyn, il suo numero due Tom Watson aveva detto che il blitz americano era “una risposta diretta e proporzionata” all’attacco chimico di Assad. Anche in Italia il M5s di Beppe Grillo condanna Trump e salva l’asse putinian-assadista, che è ben più utile quando ci si augura la fine dell’Europa e dato che ci siamo anche della Nato. Come Corbyn, come la Le Pen.