Non basta un bombardamento per smuovere le cose
Non mi convince questo attacco in automatico, palesemente dettato dalla necessità di invertire l’appoggio appena dato ad Assad. Il ruolo del regime siriano, i digiuni del Papa e il putinismo che è in noi
Quando una novantina tra adulti e bambini prendono il gas Sarin bisogna forse fare lo sforzo di essere seri. Le testimonianze, le autopsie, le fotografie sono agghiaccianti, al di là dell’umano, al di là del bene e del male. Pubblicammo qui molti anni fa la testa decollata di Nicholas Berg, un Caravaggio dell’orrore a piena pagina, come Libération ha sbattuto in prima il bouquet dei piccoli gasati di Siria. Sappiamo da tempo di cosa si parla. Non sono novità. Jihadisti con la scimitarra, Stato islamico califfale, ribelli mangiatori di fegato, la famigliola Assad che da mezzo secolo si esercita nelle stragi più o meno convenzionali: mi spiace essere brutale, ma sono tutti dettagli. Giulietto Chiesa è sicuro che si è trattato dell’esplosione di un deposito di armi chimiche nelle mani dei ribelli anti Assad, e ci racconta, ma senza poter provare niente, che le armi chimiche del regime di Damasco furono tutte imbarcate su ordine di Obama e distrutte in mare aperto. Dunque sarà stata una provocazione dell’Arabia Saudita che vuole liquidare Bashar e colpire il povero Putin, dice. D’altra parte, l’11 settembre se lo sono fatto da soli, aveva detto.
Essere seri, che è poi l’unico modo di provare compassione, vuol dire ragionare, andare oltre i dettagli del male per capire il male rotondo, assoluto, il male come fatto politico che ci sradica dalla condizione umana di ragione e ci riduce a ferocia, istinto. Gli Assad sono stragisti professionali allenati, senza scrupoli, questo si sa dai tempi almeno dell’ecatombe nella città di Hama (era lo zio, Rifaat, il capo dei carnefici). Sono un potere debole, minoritario, assediato, e questo induce a impedire anche con il gas, se necessario, soluzioni politiche pericolose, anzi letali, per la famiglia allargata che ha in mano lo stato e il paese oggi più disgraziato del mondo. Sono anche un pilastro nell’equilibrio del terrore in cui russi e iraniani politicamente prosperano da quando l’America ha smesso di essere l’America, da quando Obama ha fatto la grande retromarcia, ha deciso di guidare dalle retrovie, cioè di nascondersi e di “indiarsi”, verbo dantesco, con l’aiuto delle preghiere e dei digiuni pro Siria, il pace e bene che nell’agosto del 2013 cancellò in nome di Dio, e lavorando per il diavolo, la famosa linea rossa inutilmente e ipocritamente fissata dall’Amministrazione americana post George W. Bush. Il Papa pensava alla salvezza delle popolazioni cristiane della regione, che riteneva a torto di poter garantire con l’inazione politica, e a Washington pensavano a salvarsi la faccia, con gli applausi di Trump il pagliaccio, che già allora tuìttava scemenze pericolose, e del Cretino Collettivo che gridava “stay out of Syria!”. Gli unici seri all’epoca furono i francesi, colonialisti esperti e conoscitori dell’area, che volevano mettere fine alla carneficina con un intervento militare e, in giornate convulse, avevano quasi messo a segno un piano di intervento con gli inglesi e gli americani, David Cameron era d’accordo, ma le élite di Washington e i parlamentari monacensi di Westminster bloccarono tutto.
La compassione politica, cioè la pietà vera, non sentimentale, deve partire di qui. Sono sei anni che in Siria si muore di gas e di altro, a centinaia di migliaia, ed è il prodotto non di una primavera araba andata a male, come lo yogurt dopo la scadenza, ma dell’èra post pacifista, della distruzione anche simbolica, che è lecito propagandare senza contraddittorio all’ultimo cazzaro di passaggio, magari uno che sfilava con audacia contro l’imperialismo e pro Saddam e da allora se ne è rimasto a casa, della strategia di mutamento della faccia del medio oriente che in una logica felicemente imperiale e liberale l’America tentò di mettere in piedi dopo l’11 settembre. Ho rispetto per gli stati maggiori del Pentagono, per il generale H. R. McMaster, sopra tutto dopo che hanno cacciato quel demente che si dice leninista (vergogna) e occupa un ufficio accanto a Trump dopo aver animato un’aziendina di fake news cugina ideale della Casaleggio Associati, Breitbart. Ma non mi convince questo bombardamento in automatico, palesemente dettato dalla notturna necessità di invertire l’appoggio appena dato ad Assad in pieno giorno, dopo le fotografie che feriscono il narcisismo e la buona coscienza del ribaldo di Washington, esposto al raccapriccio dell’opinione pubblica internazionale. Meglio di niente, diranno i cinici e in fondo lo dico anch’io, ma ci vuole altro per smuovere le cose.
Il putinismo che è in noi, a parte gli adoratori dell’uomo forte che non rende conto a nessuno e domina nel suo simulacro di democrazia, che tipaccio da spiaggia, nasce dall’esigenza del realismo. Esigenza che va riconosciuta. Ma a parti rovesciate. L’asse dei Putin, degli ayatollah e degli Assad è un fronte politico di necessità come ce ne sono altri nel mondo.
Lo scandalo, la pietra d’inciampo, è nella scomparsa ingloriosa della coalizione dei volenterosi, ultima incarnazione di una nozione realista e combattiva di occidente, che dissolvendosi mette in pericolo il mondo piagato dal jihad globale e dalle sue conseguenze cosiddette geopolitiche. La mancanza di realismo è negli otto anni di Obama, e che si tenga caro il Nobel per la Pace, nella vena suicidaria dell’Europa, nel fatto che il nuovo venuto, che punta all’Oscar della guerricciola, fa della lotta all’islam guerriero una penosa questione di visti e dogane, oggi dice Assad e domani ordina un bombardamento contro le sue postazioni, oggi imbraga la tecnostruttura del Pentagono e della sicurezza nazionale imponendo il balzello di un Flynn e di un Bannon e domani se ne libera, oggi ci sono due Cine e domani una sola eccetera. Anche il realismo, come i piccoli gasati di Siria, è una cosa seria, non sopporta giochini mediocri, prepotenze compulsive, non sopporta il Risiko, richiede un quadro di criteri saldi, quello che c’era prima e adesso non è proprio alle viste.