Missili sulle bufale assadiste
Un bombardamento contenuto, che disintegra quattro falsi miti della propaganda su Siria e Assad
Roma. L’Amministrazione Trump ha bombardato l’aeroporto militare siriano di al Shayrat vicino Homs con 59 missili di precisione, che hanno distrutto alcuni aerei al suolo dentro i loro hangar e hanno ucciso almeno sei soldati. Il Pentagono ha avvertito i militari russi – che hanno un contingente dentro la base – prima dell’attacco grazie alla linea speciale di comunicazione usata per coordinare i voli sulla Siria e quelli hanno avuto il tempo di spostare i loro aerei. Secondo alcuni testimoni sul posto, anche i siriani sapevano in anticipo del bombardamento – forse sono stati avvertiti dai russi. Si è trattato di un’operazione militare molto breve, limitata nello spazio e contenuta nei modi e non ha mai messo a repentaglio la presa del presidente Bashar el Assad sulla Siria, perché non era quello lo scopo. Tuttavia, i missili dell’Amministrazione Trump hanno disintegrato almeno quattro falsi miti sulla Siria che sono stati molto pompati – alcuni per anni – dalla propaganda. Eccoli qui.
“Assad oppure Baghdadi”. “Se non lasciamo libero Assad di agire come vuole – quindi nella totale impunità – allora vincerà Abu Bakr al Baghdadi, il capo dello Stato islamico”. Questa è la linea di difesa preferita del governo siriano e dei suoi alleati a Mosca e Teheran (ripresa anche da molti fan italiani). Giovedì nel giro di ventiquattr’ore prima gli aerei israeliani hanno bombardato postazioni dell’esercito siriano e del gruppo libanese Hezbollah vicino alla capitale Damasco e a Daraa, nel sud del paese, poi i missili americani hanno colpito la base nella Siria centrale. La singola operazione ordinata dalla Casa Bianca ha avuto una copertura maggiore anche perché è stata annunciata dal presidente in televisione e poi commentata dai membri del suo esecutivo, ma gli israeliani stanno conducendo una campagna serrata di attacchi da anni in Siria – quello di giovedì mattina era il numero 46 e forse sono stati di più (non li commentano). Il 17 marzo, appena tre settimane fa, quattro jet d’Israele hanno bombardato un altro aeroporto militare siriano condiviso con i russi, il T4 a Tiyas, non lontano da Palmira, per bloccare un trasferimento di armi al gruppo libanese Hezbollah, e la faccenda è stata appena notata. Sostenere che il presidente americano Donald Trump o il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu stanno dalla parte dello Stato islamico sarebbe da pazzi. Piuttosto stanno provando che si può esercitare la coercizione su Assad senza per questo consegnare il paese ai terroristi e quindi che si può arginare l’uso deliberato delle armi da parte dell’esercito siriano contro i civili oppure l’espansione di Hezbollah senza per questo dare alcun vantaggio allo Stato islamico. Del resto, a essere precisi, gli americani sono coinvolti da vicino nelle offensive per prendere tutte e tre le capitali di fatto dello Stato islamico, Sirte in Libia (già caduta), Mosul in Iraq e Raqqa in Siria. La zona di Khan Shaykhun colpita con il sarin è invecelibera dalla presenza dello Stato islamico dal dicembre 2013. E venerdì, il giorno del raid punitivo ordinato da Trump, l’Isis non è avanzato di un metro in Siria.
“Tecnicamente impossibile agire in Siria”. Un articolo del Wall Street Journal due anni fa citava fonti dell’Amministrazione Obama che spiegavano che è difficilissimo per le forze americane colpire bersagli assadisti in Siria, anzi è quasi impossibile, perché dovrebbero sfidare la contraerea siriana rafforzata dal sofisticato ombrello di protezione russo ormai steso su tutto il paese. L’Amministrazione Trump invece ha deciso e eseguito questo bombardamento con missili nel giro di due giorni e secondo fonti militari si è basata sui piani già preparati per l’Amministrazione Obama nel 2013, dopo il primo massacro con armi chimiche. Ieri notte c’è stata la dimostrazione plateale che si può fare.
“Così scateni la Terza guerra mondiale”. L’idea che ogni confronto con i russi in Siria sarà destinato all’escalation e alla guerra mondiale ineluttabile è stata spesso tirata fuori, anche in campagna elettorale. La candidata Hillary Clinton, si diceva, ci vuole portare alla guerra mondiale contro Putin per conto dei sauditi. Poi ieri Trump ha ordinato il lancio di missili e il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, dopo avere parlato del danno alle relazioni tra russi e americani, si è detto “deluso, ma la situazione non è irreversibile”. Il segretario di stato americano, Rex Tillerson, ha parlato con Lavrov prima dell’attacco e andrà a Mosca martedì. Ci sono pose molto dure e conflittuali, com’è comprensibile, che però non giustificano congetture apocalittiche.
“La strage chimica non è attribuibile”. Tutti i commentatori sono costretti per mostrarsi equanimi a premettere che c’è incertezza sulla responsabilità dell’attacco di martedì mattina, ma lo spazio aereo siriano è il più sorvegliato del mondo, soprattutto da americani, israeliani e russi. I primi sostengono che è stato Assad e i russi – che sono suoi alleati – lo difendono per ragioni ovvie. Ieri il Pentagono ha pubblicato il tracciato dell’aereo siriano che martedì ha colpito il sito dove decine di civili sono stati uccisi dall’agente nervino. L’Amministrazione Trump ha ignorato la versione fornita mercoledì dal ministero della Difesa russo, ovvero che un aereo siriano ha colpito un deposito ribelle dove sarebbero state nascoste armi chimiche, come se la considerasse un giochetto diplomatico senza importanza. Questa attribuzione secca di responsabilità rimette anche a fuoco il massacro nella Ghouta orientale vicino Damasco del 2013 – terreno prediletto per complottismi che però non riescono mai a indicare chi altro, in tutto il medio oriente, aveva un programma militare per produrre sarin oltre la Siria. Da notare: il consigliere per la Sicurezza nazionale americano, H.R. McMaster, ha detto ieri che i puntatori americani hanno evitato con cura i militari russi dentro la base – per evitare perdite – e il deposito di agenti chimici, per minimizzare i rischi. Il che suona come un’accusa implicita. I russi sono di stanza dentro la stessa base che custodisce le armi chimiche.