Cina e America si sorridono, ma non scongiurano la trade war
Dopo il summit in Florida tra Xi e Trump, Pechino fa concessioni twittabili sul commercio, la Casa Bianca prepara misure dure
Roma. Per molti osservatori, il fatto che il summit di Mar-a-Lago la settimana scorsa tra il presidente americano Donald Trump e il suo collega cinese Xi Jinping sia stato privo di gaffe è già un risultato su cui pochi avrebbero scommesso alla vigilia del meeting. Certo, l’incontro tra i due presidenti è stato in gran parte messo in ombra dal lancio dei Tomahawk americani contro il regime siriano, avvenuto proprio mentre Xi si trovava in Florida. Ma anche così, il meeting è sembrato un successo, coronato ieri da un’indiscrezione del Financial Times: Pechino si prepara a fare concessioni a Trump su uno dei temi che più stanno a cuore al presidente: lo squilibrio commerciale tra i due paesi che, come disse Trump in campagna elettorale, ha permesso alla Cina di “stuprare” l’economia americana. La Cina consentirà agli investitori stranieri di possedere quote di maggioranza nelle società assicurative e di intermediazione finanziaria, pratica finora proibita, ed eliminerà un divieto di importazione della carne di manzo americana, che esiste dal 2003.
Le concessioni sembrano corpose, ma in realtà, spiega lo stesso Ft, si tratta del risultato, ben reimpacchettato, di contrattazioni già quasi portate a chiusura dall’Amministrazione Obama, e dunque si tratta in buona parte di interventi cosmetici. “E’ facile parlare”, ha detto in un’intervista televisiva il segretario al Commercio Wilbur Ross subito dopo il summit tra i due presidenti, prima della pubblicazione dell’articolo del Ft. “E’ facile discutere, è facile fare meeting senza fine. Quello che è difficile sono i risultati tangibili, e se non avremo qualche risultato tangibile entro i primi cento giorni dovremo riconsiderare se vale la pena continuare a discutere”. Stati Uniti e Cina, ha detto Ross, hanno concordato un “piano dei cento giorni” per valutare i primi passi sulla questione commerciale, e le indiscrezioni da Mar-a-Lago sui media americani dicevano già la settimana scorsa che Xi era arrivato in Florida carico di piccole concessioni “twittabili”. Ma nessuna concessione non sistemica può appianare un deficit commerciale da 310 miliardi di dollari all’anno, e lo stesso Ross ha riconosciuto che cento giorni sono un “tempo brevissimo” per dirimere questioni di estrema complessità come i rapporti commerciali tra le due maggiori potenze economiche del mondo.
Così l’Amministrazione Trump sta prendendo le contromisure. Già la settimana scorsa fonti del New York Times alla Casa Bianca sostenevano che Trump avesse pronto un ordine esecutivo che prende di mira le economie che fanno dumping nel settore dell’acciaio, in primis la Cina. Ma ieri Axios ha rivelato che è allo studio un provvedimento “potenzialmente esplosivo”, un ordine esecutivo che prescrive un’indagine antidumping contro le compagnie straniere a livello dell’intera economia americana, e che potrebbe risultare in un aumento consistente dei dazi commerciali. I settori più colpiti sarebbero ancora l’acciaio, poi l’alluminio e gli elettrodomestici, e la Cina sarebbe ovviamente l’obiettivo principale del provvedimento. Anche la promessa fatta in campagna elettorale (dalle conseguenze più formali che pratiche) di designare la Cina come un paese manipolatore di valuta, sebbene taciuta nelle ultime settimane, non è fuori dal tavolo.
Insomma, se le concessioni della Cina sembrano allontanare la guerra commerciale, in realtà il pericolo rimane tanto vivo quanto lo era prima del summit di Mar-a-Lago. Ed esattamente come Trump propende per una linea di sfida alla Cina sulla questione della Corea del nord, non è escluso che possa fare lo stesso sul commercio. Il primo appuntamento da tenere d’occhio ci sarà nei prossimi giorni, quando il dipartimento del Tesoro pubblicherà il suo report semestrale sulla gestione della valuta.
I conservatori inglesi