Il gran botto di Trump
In Afghanistan l’America sgancia sui tunnel dell’Isis
Oggi per la prima volta l’aviazione americana ha sganciato sull’Afghanistan la Moab, la bomba più potente dell’arsenale americano fatta eccezione per quella atomica. Undici tonnellate di esplosivo, Moab sta per Massive ordnance air blast, ma questa sigla è poi diventata: Mother of all bombs. L’effetto a vedersi da lontano dev’essere abbastanza impressionante, perché quando nel 1991 gli americani le usarono in Iraq, al tempo della Prima guerra del Golfo, una pattuglia di forze speciali inglesi in una zona contigua segnalò via radio alla base che c’era stata un’esplosione atomica – e dire che erano versioni ancora meno potenti di quella di oggi. Il bersaglio questa volta erano i tunnel dello Stato islamico nella zona montuosa di Nangarhar, vicino al confine con il Pakistan, uno dei luoghi più infestati dal gruppo – che soltanto di recente ha fatto la sua comparsa in Afghanistan. Ci saranno state senz’altro necessità tattiche che hanno spinto il Pentagono all’uso di questa bomba, ma si può dire che questo raid aereo plateale casca bene con la politica fragorosa del presidente Trump, che ha bisogno di dimostrare una durezza speciale contro il terrorismo, quindi più del predecessore Barack Obama (che nel 2011 annunciò la morte del capo di al Qaida, il saudita Osama bin Laden). La notizia che viene dall’Afghanistan e che inevitabilmente sta facendo il giro dei notiziari – “quasi come un’atomica” – permette a Trump di tacitare i brontolii seguiti al bombardamento contro Assad, che pur essendo quasi dimostrativo è pur sempre un bombardamento non contro l’Isis e quindi rischia di tradire lo spirito della sua campagna elettorale. “I am going to bomb the shit out of them”, aveva detto dell’Isis a un comizio in campagna elettorale, che potremmo tradurre come: “li sfondo a suon di bombe”. La Moab forse ha distrutto una rete di tunnel afghani dell’Isis, di sicuro ha confortato un presidente che vuole disperatamente essere preso sul serio.