Chi sono i nazionalisti turchi che decidono il referendum di Erdogan
Il voto di domani visto dalla piazza di Istanbul. Il presidente può vincere perché i turchi hanno paura di nuova instabilità
Istanbul. Nel suo chiosco a Karaköy, schiacciato tra decrepiti palazzi ottomani e il cantiere sul Bosforo, Yunus dice di aver ormai smesso di seguire la campagna elettorale: “Non vedo l’ora che finisca questo casino”. Dietro alla griglia, campeggia il volto del suo beniamino: il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Il ristoratore, 54 anni, voterà Sì al referendum di domenica, anche se non è convinto che i 18 emendamenti costituzionali siano ciò che serve alla Turchia. Ma l’alternativa lo spaventa: si aprirebbe un periodo di instabilità che non fa bene agli affari. La riforma della Costituzione prevede di trasformare la Repubblica in senso presidenziale: è una delle politiche-cardine del partito di governo Akp e l’apice della carriera di Erdogan, che in un colpo solo si aggiudicherebbe super-poteri di governo e la possibilità di rimanere al centro della politica fino al 2029, quasi senza contrappesi.
“Ma è già così”, spiegano alcuni militanti del Mhp, partito di destra e ultranazionalista, che il Foglio incontra dall’altra parte del Bosforo, nella parte asiatica di Istanbul. Asserragliato tra le bandiere rosse con le tre mezzelune, il braccio politico dei Lupi grigi divide la piazza con uno sparuto gruppo di sostenitori del No, in un braccio di ferro a chi spara la musica più forte. “Si tratta di rendere legale un presidenzialismo di fatto”, dice Mesut, i tipici baffi a manubrio dei nazionalisti e una voce piena di sigarette. “Con la vittoria del Sì ci sarà più sicurezza in Turchia”. I nazionalisti erano all’opposizione e hanno ottenuto solo il 12 per cento alle scorse elezioni ma, sotto la guida del leader Devet Bahçeli, sono diventati l’ago della bilancia di una delle votazioni più incerte degli ultimi anni – i sondaggi danno il Sì in vantaggio di pochi punti, con il 20 per cento di indecisi. Sono stati fondamentali per l’approvazione della riforma costituzionale in Parlamento. Ma la base è divisa e il partito ha vissuto una scissione: mentre la leadership fa campagna per il Sì, alcuni deputati hanno defezionato. Meral Aksener, combattiva sessantenne ex ministro dell’Interno, ora guida una fronda di dissidenti e trascina con sé una buona fetta di elettorato. “Il parlamentarismo dispone di una articolato sistema di pesi e contrappesi. La riforma non prevede nulla di simile”, ha detto a Bbc. “È una mostruosità. Chiunque, io stessa, con simili poteri impazzirei”. Molti suoi comizi sono stati vietati, ma il carisma di Aksener è dirompente e molti sostengono che dopo il referendum proverà a candidarsi alla guida del paese.
Istanbul è invasa da bandiere e gigantografie che chiamano a votare Evet (Sì). L’opposizione si limita a pochi manifesti, qualche gazebo e sticker abusivi appiccicati sui muri. Un gruppo di giovani militanti del Chp, il partito repubblicano erede del kemalismo, fatica a distribuire le sue bandierine, nella piazza della moschea di Rüstem Pasha. “I giovani voteranno tutti No”, azzarda Murat, 23 anni, pettorina del Chp e sguardo serio di chi bluffa con una mano da nulla. “Gli anziani voteranno per Erdogan, abbiamo una cultura diversa. Vedi tutte queste donne con il burqa?”, domanda. “Ormai in Turchia ci sono solo turisti arabi. Noi vogliamo più Europa”.
Nonostante l’opposizione dei giovani di Istanbul, il sostegno a Erdogan nel paese resta fortissimo. “Non lo stimo e non l’ho mai votato”, dice Deniz, che lavora per una grande banca americana. “Ma ha portato parecchi miglioramenti in Turchia. Gli ospedali sono gratuiti o convenzionati ora, mentre prima era un dramma. Il settore edilizio ha avuto uno sviluppo notevole, con lui hanno iniziato a girare i soldi. Voterò contro, ma sono certa che vincerà il Sì. In caso contrario temo, come molti, che inizierà un periodo di caos”. Il referendum, in Turchia, rischia di vincere anche per esasperazione.