Con una guida politica evanescente il pur bravo generale Mattis non tranquillizza affatto
Trump e Cane pazzo. I generali a briglia sciolta andrebbero bene se la Casa Bianca avesse una strategia stabile
Una delle poche sicurezze intorno a Trump si chiama James “Mad Dog” Mattis. E’ un generale quasi unanimemente definito abile e istituzionale nei modi, dunque gode di una considerazione anche tecnica, impersonale, delle sue qualità. E chi siamo noi per giudicare? Sarà senz’altro così. E il nomignolo di Cane pazzo, o di War monk, Monaco guerriero, dev’essere un modo affettuoso di riferirsi al suo coraggio, al suo sprezzo del pericolo, alla sua disinvoltura verbale, alla sua poca cautelosità, non un difetto in sé in un generale oggi a capo del Pentagono. Mattis è uno che in numerose dichiarazioni pubbliche, anche quelle poi rettificate, ha alternato parole di saggezza a ostentazioni di piacere personale un po’ morboso nel colpire i bad guys che si fanno nemici dell’America. E’ stato un bravo capo dei marines nella guerra in Iraq, benedetta, e ha un curriculum specialissimo, indipendenza di giudizio rispetto alle volubilità del politico di turno, un chiaro orientamento strategico alternativo alla riluttanza ormai celebre, e funesta, della presidenza Obama.
Ora ha tirato un bombone di qualche tonnellata di tritolo, una roba che distrugge tutto nel raggio di mille metri, su un reticolo di grotte e tunnel dello Stato islamico in Afghanistan, e speriamo che quelle tonnellate di tritolo abbiano colpito nel segno. E ha inviato una portaerei ben scortata verso la Corea per dissuadere Kim Jong-un, il coreano pazzo, dal fare altri minacciosi esperimenti nucleari. I cinesi dicono che in zona si sta facendo un gioco pericoloso, si mostrano allarmati, ma chi lo sa, la deterrenza fa parte del gioco, anche se pericoloso.
Tutto bene. Ma c’è un ma. Quando il comandante in capo, il presidente, è ondivago; quando, per dirla con Max Boot, esperto di ambito neoconservatore, emerge che il suo profilo strategico è quello di uno che reagisce a cose che ha visto in tv, allora è in questione la relazione speciale che deve essere intrattenuta tra il capo politico e il capo militare di un grande paese. Trump fino a ieri voleva salvare con un deal diretto qualche manciata di posti di lavoro in Michigan, elevare un muro alla frontiera messicana pagato dal governo messicano, denunciare tutti i più importanti trattati di libero scambio non favorevoli alla sua prospettiva dell’America First, sistemare la delinquenza a Chicago per mettere fine all’american carnage, sgridare i media liberal e metterli dietro la lavagna, ridurre le tasse di brutto e rimpiazzare la riforma sanitaria, far cacciare soldi agli alleati dell’America in Europa e riarmare di nucleare i paesi asiatici amici perché se la sbroglino loro con Kim, per non dire dell’aria di famiglia con il Cremlino di Putin e, poco prima dei missili Tomahawk spediti nottetempo su una base aerea siriana, delle espressioni di tolleranza estrema verso il presidente siriano Assad.
Quando un presidente dà o subisce un contrordine tanto evidente e plateale, si entra in confusione. Non sarà che Trump è un affarista e bisnizzaro dell’immobiliare e della tv che ha interessi demagogici molto personali e molto newyorchesi, lontano dalle questioni strategiche, uno che esercita una moderata influenza sull’Amministrazione, e sulla struttura del Pentagono come del Dipartimento di stato e del Consiglio di sicurezza nazionale, dove ha dovuto eliminare il suo uomo di fiducia prima dello scadere delle quattro settimane di presidenza?
E che cosa succede se il presidente sgancia 50 miliardi di dollari alla Difesa, per levarsi di torno il problema e fare una delle sue sparate, e poi guarda alla tv i suoi stessi generali che tirano il Moab, la madre di tutte le bombe, in Afghanistan, o i missili sull’obiettivo siriano, o tentano l’accerchiamento delle rotte navali coreane in un momento complicato con portaerei e sottomarini nucleari? Il Cane matto fino ad ora ci ha rassicurato, ma i generali a briglia sciolta sembrano fatti apposta, se le cose dovessero stare così, per preoccupare e allarmare. Mattis più una Casa Bianca in assetto strategico definito e stabile, nessun problema; ma con una guida politica evanescente, le decisioni dei generali al comando possono essere anche gesti di alta e responsabile dissuasione, ma non tranquillizzano affatto.
L'editoriale del direttore