La Corea divisa tra la Sunshine policy e "In front of them all!"
Quella coreana sembra una “crisi dei missili cubana in slow motion”. E’ in questo tesissimo contesto che si è svolta la visita del vicepresidente Mike Pence a Seul
Roma. Secondo alcune fonti anonime del quotidiano giapponese Yomiuri, ieri Russia e Cina avrebbero inviato delle navi da ricognizione per spiare lo strike group americano guidato dalla nave da guerra USS Carl Vinson, mandato nelle acque della penisola coreana dall’Amministrazione Trump per frenare le minacce nordcoreane. Se le rivelazioni dello Yomiuri fossero confermate, vorrebbe dire che la crisi nel Pacifico inizia a somigliare sempre di più a un inseguimento tra potenze globali, e la Corea del nord al terreno di scontro tra teorie politiche e volontà egemoniche.
Come ha scritto il New York Times lunedì, citando Robert Litwak, quella coreana sembra una “crisi dei missili cubana in slow motion”. E’ in questo tesissimo contesto che si è svolta la visita del vicepresidente Mike Pence a Seul, in Corea del sud, fino a ieri strategicamente messa all’angolo nei colloqui di Trump.
Il problema, per chi tenta di interpretare e prevedere le prossime mosse dei vari attori, è che ieri Pence ha detto esattamente le stesse frasi pronunciate dal segretario di stato Rex Tillerson il mese scorso, senza fare un passo indietro. Pence, il cui padre Edward J. Pence Jr. è stato veterano della Guerra di Corea negli anni Cinquanta, ha parlato di “tutte le opzioni sul tavolo” e del fatto che l’èra della “pazienza strategica” è finita. E poi ha aggiunto: “Il presidente Trump ha dimostrato di essere risoluto sia in Siria sia in Afghanistan. La Corea del nord farebbe bene a non testare la capacità delle Forze armate americane”.
Come Tillerson, anche Pence è stato poi condotto alla Panmunjom Joint Security Area – dove le forze speciali sudcoreane e i marine americani lavorano secondo il motto ufficiale, “in front of them all!” – e poi nella zona demilitarizzata (Dmz) sul 38° parallelo, sulla linea di confine dove fino a qualche anno fa si svolgevano i colloqui di pace e dove, negli stessi pochi metri quadrati, si trovano anche le Forze nordcoreane. La visita alla Dmz ha un suo valore strategico: ogni volta che una delegazione ufficiale va in visita nel lato sudcoreano, i soldati del nord vengono dislocati in ricognizione, e scattano foto, prendono appunti, carpiscono domande e risposte.
Due visite di così alto livello da parte dell’Amministrazione americana nel giro di un mese non erano mai capitate finora. Ma la visita del vicepresidente aveva anche un’altra precisa missione: la Casa Bianca deve fare pressioni per accelerare sulla messa in funzione del Thaad, il sistema antimissilistico americano che dovrebbe essere posizionato su territorio sudcoreano e capace di intercettare eventuali missili nordcoreani. Il Thaad è lo spauracchio di Cina e Russia, che vedono negli enormi radar costruiti dalla Lockheed Martin una minaccia per i movimenti delle loro flotte.
Il candidato democratico alla Casa Blu, il palazzo presidenziale di Seul, Moon Jae-in, si è già detto scettico sull’istallazione dello scudo, ma con tutta probabilità il Thaad verrà reso operativo prima delle elezioni del 9 maggio prossimo. Moon è un sostenitore della “Sunshine policy” nei confronti della Corea del nord, attuata dal 1998 fino al 2008 in una strategia di apertura e dialogo con Pyongyang. Ma dal 2008 a oggi il regime dei Kim si è trasformato, ha avuto il tempo di aumentare il proprio arsenale missilistico e atomico, e la parata militare di sabato scorso per le vie di Pyongyang, più il test missilistico apparentemente fallito lanciato domenica, stavano a dimostrare proprio questo.
Lunedì è intervenuto anche il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, che ha detto: “Non tolleriamo le attività nucleari e missilistiche di Pyongyang. Ma non possiamo accettare nemmeno azioni di forza unilaterali”. Nel frattempo il primo ministro Giapponese Shinzo Abe ha detto che il governo di Tokyo sta elaborando un piano d’emergenza per evacuare circa sessantamila giapponesi residenti in Corea del sud in caso di crisi, e anche un protocollo nell’eventualità che ci sia un’ondata di rifugiati in Giappone, presumibilmente via mare.