La cruciale settimana della diplomazia italiana in America
C’è la necessità di riannodare i fili del rapporto con gli Stati Uniti dopo il “tifo” del governo Renzi per Hillary
In una settimana ricchissima di eventi internazionali, dalla crisi nordcoreana al primo turno delle presidenziali francesi, passando per le accese discussioni intorno all’esito del referendum in Turchia che ha di fatto sancito il potere assoluto di Erdogan, la ciliegina sulla torta è rappresentata dal viaggio del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni negli Stati Uniti e in Canada. Il primo incontro bilaterale del nostro capo di governo con il nuovo inquilino della Casa Bianca aveva suscitato parecchi dubbi e incognite. Tuttavia, dietro la facciata di sorrisi e strette di mano (favorite anche da una simpatia personale di Donald Trump per il nostro paese), la realtà è quella di un rapporto bilaterale che va in parte ricostruito e che ha compiuto diversi passi indietro rispetto alla grande armonia che è regnata durante la presidenza di Barack Obama, e in particolare durante l’esperienza di governo di Matteo Renzi.
Se soltanto sei mesi fa l’ex premier era stato l’ospite d’onore della State Dinner, l’evento più prestigioso che si tiene alla Casa Bianca, oggi l’Italia deve effettuare una partenza ad handicap nel ricalibrare la sua relazione con gli Stati Uniti.
Lo schieramento esplicito, quasi tifoso, di Renzi e dello stesso Gentiloni per Hillary Clinton nel corso della campagna per le presidenziali, non è stato ancora digerito dallo staff di Trump, la cui vittoria ha spiazzato un po’ tutti. Il nostro governo ha dunque il compito di ricucire un rapporto che solo fino a poco tempo fa era ottimo e che sarebbe potuto proseguire sui medesimi binari se l’inquilino di Pennsylvania Avenue 1600 fosse stata la democratica Hillary. Ma di necessità bisogna oggi fare virtù: come fare dunque per ritornare a essere amici degli Stati uniti anche nell’èra destabilizzante di Trump?
Tra dubbi e incognite, il G7 a Taormina potrà rappresentare l'occasione utile per imbastire una strategia capace di rilanciare il ruolo dell'Italia nel mondo. A patto che si riesca a "sterilizzare" l'approccio potenzialmente imprevedibile e divisivo di Trump, che va ancora messo alla prova
La parola d’ordine dovrebbe essere una sola: realismo. Serve un approccio pragmatico per tutelare i nostri interessi nazionali, a partire da quelli economici. L’Italia esporta beni negli Stati Uniti per circa 36 miliardi di euro, importandone per meno di 15: è essenziale dunque in primo luogo cercare di frenare le velleità protezioniste di Trump per evitare che il nostro invidiabile surplus commerciale venga intaccato. Allo stesso modo, gli Stati Uniti sono per le grandi aziende italiane delle costruzioni e della Difesa con in testa Leonardo, un importante mercato per investimenti e nell’ambito del procurement. Uno dei pezzi forti del programma elettorale repubblicano era l’adozione di massicci investimenti in opere pubbliche: sarà dunque importante per i nostri grandi gruppi infrastrutturali riuscire a cogliere le opportunità che si apriranno in questo ambito. In tal senso, il governo italiano potrà svolgere un’azione di moral suasion affinchè il mantra trumpiano Buy American non venga applicato alla lettera escludendo la partecipazione di aziende straniere alle gare di appalto.
Simile approccio dovrà essere intrapreso nella gestione congiunta dei dossier di politica estera. In questo caso, i nostri interessi si dispiegano soprattutto nella regione mediterranea e sono finalizzati a conseguire una stabilizzazione dell’area da raggiungere attraverso la soluzione della crisi siriana e libica, da cui derivano la capacità di sventare la minaccia del terrorismo islamico e di ridurre l’emorragia di migranti verso le nostre coste.
La tappa in Canada da Trudeau
A questo proposito, è positivo il fatto che Trump abbia cambiato idea rispetto alla campagna elettorale e sembri determinato a voler far giocare agli Stati Uniti un ruolo più attivo nei confronti della Siria. Tuttavia, questo maggiore attivismo americano non può avvenire a discapito di un ulteriore deterioramento dei rapporti con la Russia: ecco dunque che rientra in gioco l’Italia, che se gioca le sue carte in maniera intelligente può riuscire a costruire ponti sia con Mosca che con la Turchia. A proposito di quest’ultima, l’intervista concessa dal ministro degli Esteri Alfano al Corriere della Sera qualche giorno fa è rivelante di come l’approccio italiano vada dritto al punto, nel riconoscimento che Ankara deve rimanere un nostro partner imprescindibile, pur nell’ambito della discutibile deriva autoritaria in cui è scivolato il paese.
Il G7 di Taormina, in programma tra poco più di un mese, sarà dunque un’ottima vetrina per l’Italia per agire da regista di questa strategia tesa a ottenere la pace sulla sponda sud del Mediterraneo. Questo successo diplomatico è a portata di mano, a patto che si riesca a “sterilizzare” l’approccio potenzialmente imprevedibile e divisivo di Trump, che va ancora messo alla prova nell’ambito di un vertice multilaterale. Ecco perché la missione a Washington di questi giorni è cruciale al fine di preparare il terreno per un G7 in grado di riconfermare la propria unità di intenti e vedute, quella che gli anglosassoni chiamano likemindedness.
Molto importante a questo scopo la seconda tappa del viaggio al di là dell’Atlantico di Gentiloni, diretto in Canada per incontrare Justin Trudeau. Il carismatico premier canadese è l’ultimo alfiere del liberalismo e difensore dei valori della società aperta nel mondo anglosassone, dopo che l’avvento di Trump negli Stati Uniti e la Brexit nel Regno Unito hanno bruscamente impresso un cambio di rotta. Sta all’Italia sviluppare e rafforzare l’alleanza con Ottawa per favorire la coerenza interna del G7 attorno alla piattaforma di valori delle democrazie occidentali, importante capitale politico da non disperdere proprio perché funzionale alla tutela dei nostri interessi. A Taormina scopriremo se la tela diplomatica intessuta da Alfano e Gentiloni sortirà gli effetti sperati.