C'è un miliardario twittarolo che svela le guerre di potere in Cina
Chi è Guo Wengui, il ricco imprenditore che da Manhattan minaccia di spifferare i segreti della leadership cinese
Roma. La politica cinese è quasi sempre un gioco che si svolge a porte chiuse. La leadership comunista è inaccessibile, le stanze del potere sono sigillate, gli amici sono sempre fedeli e i nemici sono zittiti prima di poter parlare. Nessuna decisione di una qualche rilevanza politica in Cina è trasparente, e quando qualcosa si mostra dei meccanismi di potere è a causa di un errore o di un incidente. Successe nel 2012 con Bo Xilai, ex membro del Politburo adorato dalle masse ma decaduto per un affaraccio che ha riguardato sua moglie e un faccendiere inglese trovato morto in una camera d’hotel. Potrebbe succedere di nuovo con Guo Wengui, miliardario cinese ribelle e molto ciarliero con i giornalisti occidentali, che da mesi lancia accuse violentissime contro l’alta leadership del Partito comunista e dello stato cinese e più di recente è diventato protagonista di una battaglia mediatica a distanza con Pechino.
Fino al 2015, Guo Wengui (conosciuto anche come Miles Kwok) era un imprenditore di enorme successo. Attivo nel settore finanziario e delle costruzioni, la sua opera più notevole è stata lo sviluppo del Pangu Plaza, un gigantesco complesso edilizio a forma di dragone cinese a Pechino. Tra il 2014 e il 2015, però, Guo entra in conflitto con alcuni soci in affari e con altri potenti imprenditori per il controllo del conglomerato miliardario Founder Group. Lo scontro che ne deriva scatena un’inchiesta da parte dello stato cinese, che finisce con una serie di arresti e con Guo che scappa in America, rifugiandosi nel suo appartamento principesco sulla Fifth Avenue a Manhattan, pagato 67,5 milioni di dollari. Guo scompare dai radar per più di un anno, ma torna in grande stile pochi mesi fa. Nella stessa settimana di fine gennaio in cui Xiao Jianhua, un altro miliardario fuggiasco, era prelevato a forza da agenti cinesi dal suo rifugio di Hong Kong, Guo riappare con due interviste fiume a une tv cinese con sede a New York in cui lancia accuse tremende di corruzione contro He Guoqiang, potentissimo politico cinese oggi in pensione ed ex capo dell’agenzia anticorruzione. Il New York Times ha provato a verificare le accuse e ha visto che almeno alcune si basano su presupposti di verità. Nel frattempo, Guo diventa attivissimo sui social network, intervallando nuove accuse contro la leadership cinese a foto della sua vita di ultralusso in America, tra aerei privati e supercar. Pechino sembra cercare di ignorare le prime interviste, ma cambia idea questa settimana, quando Guo fissa una nuova intervista con Voice of America, tv finanziata dal governo americano, e annuncia che “lancerà una bomba atomica sulla leadership cinese”. Poche ore prima dell’intervista, i media di stato iniziano una campagna violenta contro Guo e pubblicano una video confessione di un ex funzionario cinese che dichiara di aver preso milioni di dollari da Guo. Infine, Pechino chiede all’Interpol di emettere contro Guo una “red notice”, cioè una richiesta di arresto preventivo a cui il governo americano può decidere se rispondere o meno. Guo fa lo stesso l’intervista con VoA: sarebbe dovuta durare tre ore, e durante la prima Guo fa in tempo ad accusare Wang Qishan, attuale capo dell’anticorruzione e secondo molti secondo uomo più potente di Cina, ma dopo poco la trasmissione è interrotta bruscamente. “Miscommunication”, dice VoA. “Censura su pressione di Pechino”, scrive Guo su Twitter. Subito iniziano a circolare a velocità folle teorie del complotto: forse Pechino ha davvero paura della “bomba atomica” di Guo? Magari invece il miliardario, dalla sua penthouse di Manhattan, ci sta prendendo in giro.
Intanto gli osservatori si godono lo spettacolo raro di una lotta di potere allo scoperto nell’establishment cinese, con la certezza che cadranno altre teste. Bisogna vedere se cadrà anche quella di Guo. Le autorità americane devono decidere se rispettare la “red notice” dell’Interpol e arrestare il miliardario, ma questo creerebbe imbarazzo ai piani più alti dell’Amministrazione, su fino allo Studio Ovale: Guo, infatti, è membro dell’esclusivissimo club di Mar-a-Lago, proprietà di Donald Trump. Pochi giorni fa, twittava foto in cui passeggiava sui campi da golf preferiti dal presidente.
L'editoriale dell'elefantino