L'Europa alla prova delle elezioni francesi
La Francia del 2017 rivela che la frattura con l'Unione europea non si è rimarginata. Il tabù dei trattati
Bruxelles. Dopo il “no” alla Comunità europea di difesa e al trattato costituzionale, per la terza volta in 63 anni, domenica la Francia potrebbe infliggere un colpo alla costruzione europea. Oppure potrebbe superare una volta per tutte il suo conflitto irrisolto tra aspirazione a essere potenza aperta al mondo globale e la sindrome nazionalista. Stando ai sondaggi, malgrado il vantaggio del pro europeista Emmanuel Macron, un ballottaggio tra Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon non è escluso. La candidata dell’estrema destra ha fatto della “Frexit” (l’uscita della Francia dall’Unione europea) la sua bandiera elettorale. Il candidato dell’estrema sinistra ieri ha confermato che il suo “piano B” è di abbandonare unilateralmente il trattato. Le Pen vuole negoziare con i partner per recuperare sovranità monetaria, economica e sulle frontiere, e poi indire un referendum stile Brexit. “L’Ue o la si cambia o la si lascia”, ha detto Mélenchon, specificando che il suo piano A è di smantellare l’attuale trattato per cambiare lo statuto della Bce, porre fine alla concorrenza fiscale e sociale, e chiudere le frontiere all’immigrazione. Con Macron che rivendica il suo ruolo di candidato “della Francia aperta”, che si definisce “nemico del nazionalismo”, che nel suo comizio di Nantes mercoledì oltre a far sventolare le bandiere a dodici stelle ha fatto suonare l’inno alla gioia di Beethoven, la scelta è netta. A meno di non votare per François Fillon, sovranista per passione convertito all’europeismo della ragione, gli elettori sono di fronte a una ripetizione del referendum del 2005 sul trattato costituzionale europeo, che fu il più duro colpo d’arresto subìto dall’Ue, all’origine delle sue crisi esistenziali.
Con il suo europeismo, Macron è il candidato più anti establishment e di rottura in Francia, dove il Partito socialista e quello gollista hanno sempre espresso una visione sovranista del ruolo del paese in Europa. Nel 1954, la Comunità europea di difesa fu bocciata all’Assemblea nazionale da una strana alleanza formata da comunisti, gollisti e una parte consistente dei socialisti. Nel 2005, il “no” era prevalso con il 55 per cento grazie a una fetta importante dell’elettorato e della classe dirigente socialista e gollista. I temi degli anti europei di allora non erano diversi da quelli di oggi. “L’idraulico polacco” contro cui si batteva il Partito socialista nel 2005 è diventato il “lavoratore distaccato” che Le Pen e Mélenchon vogliono tenere fuori dalla Francia. Il liberalismo, la concorrenza, la globalizzazione e i limiti di Maastricht non sono mai piaciuti. La sindrome nazionalista semmai si è aggravata, con Mélenchon che ha assunto una posizione di chiusura su frontiere e immigrazione. “Una vittoria della Le Pen sarebbe la fine dell’Ue”, dice un funzionario brussellese. Mélenchon è visto come “un male minore di Le Pen, con cui convivere come facciamo con Alexis Tsipras”, spiega il funzionario, che però ammette che “la Francia non è la Grecia”.
L’elezione di Macron all’Eliseo, per contro, “consentirebbe di riprendere il cammino” interrotto il 29 maggio di 12 anni fa con il referendum sulla Costituzione dell’Ue, spiega al Foglio una fonte europea. Il “no” dei francesi è stato superato con l’artificio del trattato di Lisbona nel 2007, ma di fatto ha paralizzato le istituzioni comunitarie. Da allora la Francia si è accodata alla Germania per non rischiare di finire nei gruppo dei Pigs dell’euro, ma senza mai accettare le cessioni di sovranità che sarebbero state necessarie per superare quella e altre crisi. Tanto Nicolas Sarkozy quanto François Hollande hanno perseguito una politica europea ambigua: chiedere un governo della zona euro senza accettare strette regole di bilancio, rivendicare una politica europea sull’immigrazione salvo opporsi alle quote di richiedenti asilo, proclamare l’Europa della difesa o della politica estera ma ostacolando la loro comunitarizzazione. Con le sue proposte, invece, Macron avrebbe la possibilità di “riaccendere il motore franco-tedesco”, dice la fonte. Riformando l’economia e risanando i conti della Francia, riuscirebbe a riconquistare la fiducia della Germania. Accettando il Fiscal compact, otterrebbe la capacità di bilancio dell’Eurozona. In caso di conferma di Angela Merkel in Germania, con Macron all’Eliseo una riforma del trattato “non sarebbe più un tabù”.
Dalle piazze ai palazzi