Gli spari condizionano le elezioni, vedi Parigi? Trump dice di sì
Investigatori francesi alla ricerca di un nesso tra attentatore e Isis. Commandos americani uccidono un leader in Siria. Un’operazione segreta
Roma. Venerdì il Comando centrale del Pentagono, il settore che si occupa delle missioni militari in medio oriente, ha detto in un incontro con i giornalisti che le forze speciali americane sono atterrate ancora una volta in mezzo al corridoio dell’Eufrate, tra Siria e Iraq, quindi nel cuore di quella zona desertica controllata dallo Stato islamico, e hanno ucciso un leader dell’organizzazione terroristica coinvolto nella strage di Capodanno a Istanbul, in Turchia. L’obiettivo dell’operazione, che è avvenuta due settimane fa, il 6 aprile, era la cattura di Abdul Rahman al Uzbeki, descritto come un comandante che interagiva con il capo di tutta l’organizzazione, Abu Bakr al Baghdadi. Come è successo in quasi tutte le missioni segrete compiute dalle forze speciali americane dentro lo Stato islamico – finora sono state una decina secondo dati pubblici – anche questa volta la cattura si è trasformata in un’uccisione (quindi in un fallimento dal punto di vista militare, perché le squadre di solito sono mandate a terra in territorio nemico e quindi esposte al rischio soltanto quando c’è la speranza di ricavare qualche informazione utile). Al Uzbeki era sorvegliato “da qualche tempo” ed è stato descritto dai militari americani come il pianificatore dell’attentato alla discoteca Reina di Istanbul dove uno stragista solitario, anch’egli uzbeko, ha ucciso 39 persone. E’ probabile che dal comandante uzbeko che si muoveva nel cosiddetto corridoio dell’Eufrate fra Siria e Iraq si volesse risalire a Baghdadi. La conferenza del Comando centrale ricorda – ma non serve – che c’è una centrale dello Stato islamico che pensa, organizza e lancia attentati all’estero. (Raineri segue a pagina tre).
Quando la polizia turca fece irruzione in una casa di periferia di Istanbul e arrestò lo stragista, Abdulgadir Masharipov, trovò anche un iPad che conteneva un messaggio audio dell’emiro che da Raqqa comandava le operazioni dello Stato islamico in Turchia, quindi anche quell’attentato. L’emiro diceva addio all’uzbeko, senza conoscerlo – “mi hanno detto grandi cose di te” – e gli ricordava che “un leone non mangia una carogna”, vale a dire che un vero combattente islamico non deve dare importanza a questo mondo terreno, perché è soltanto la pallida copia in decomposizione del mondo ultraterreno, che dovrebbe essere la vera aspirazione. E’ un tema ricorrente della propaganda dello Stato islamico. Non è stato detto se quell’emiro che parlava è lo stesso ucciso dalla Delta Force americana il 6 aprile, ma è probabile di sì.
Venerdì il tema centrale delle indagini a Parigi era l’esistenza di un collegamento solido tra l’attentatore ucciso giovedì sera, il francese Karim Cheurfi, e lo Stato islamico – un collegamento del tipo di quello che il Pentagono sostiene legasse il comandante uzbeko e lo stragista di Istanbul. Il corollario di questa ipotesi di lavoro è una grande questione politica: lo Stato islamico ha pianificato una strage per condizionare il risultato delle elezioni presidenziali di domenica? Il presidente americano, Donald Trump, ne è sicuro e ha scritto su Twitter: “Un altro attacco terroristico a Parigi. Il popolo francese non sopporterà ancora a lungo questa situazione. Avrà un grande effetto sulle elezioni presidenziali”. L’idea sottintesa al tweet è che un episodio di violenza a tre giorni dal primo turno farà convogliare molti indecisi sul candidato percepito come più risoluto contro gli islamisti, quindi Marine Le Pen del Fronte nazionale.
L’idea che lo Stato islamico giochi con il calendario elettorale è senza dubbio affascinante, anche se sappiamo troppo poco di cosa succede dentro al gruppo per parlarne come se fosse un fatto certo. Come c’era un leader uzbeko che dirigeva, senza conoscerli, volontari mimetizzati nella foltissima comunità centroasiatica che vive in Turchia, così è possibile pensare che i leader francesi dello Stato islamico che vivono a Raqqa provino a lanciare operazioni in Europa, secondo un altro motto che è molto caro agli agenti dell’organizzazione terroristica all’estero: “Una vostra operazione vale dieci delle operazioni che facciamo qui” (qui s’intende in Siria e in Iraq).
Perché lo Stato islamico dovrebbe favorire Le Pen (sempre seguendo il filo delle ipotesi)?Un numero di Dabiq, vecchia rivista dello Stato islamico, spiega la necessità di eliminare la cosiddetta “zona grigia”, vale a dire le comunità musulmane che riescono a funzionare nelle società occidentali. I leader del gruppo a Raqqa percepiscono la candidata Le Pen come la chance migliore di mettere sotto pressione la zona grigia, e quindi magari di facilitare il lavoro dei loro reclutatori. Inoltre lo Stato islamico è schierato con forza contro la migrazione degli arabi verso l’occidente (perché è oggettivamente uno smacco per la promessa califfale di dare protezione e prosperità a tutti i musulmani) e quindi vede nella destra europea non un alleato politico – ovvio – ma una svolta da vedere con favore. Anche il programma antieuropeista, senza difesa comune integrata, potrebbe esercitare un certo fascino.
Venerdì Jason Burke, commentatore ed esperto di gruppi jihadisti per il Guardian, ha scritto che “il piano per condizionare il voto” è soltanto un’ipotesi, in mancanza di meglio. Lo Stato islamico potrebbe voler approfittare della visibilità maggiorata in tempo di elezioni, come sfruttò la data simbolica del 14 luglio per compiere la strage di Nizza nel 2016.