Piccoli indizi elettorali nelle parole dei candidati dopo l'attentato
I commentatori si interrogano sull'effetto dell'attacco degli Champs Élysées può avere sul risultato. Ma si vota domani, non c’è modo di capire come e se si reagisce allo choc
Milano. La campagna elettorale francese ha subìto una battuta d’arresto, l’organizzazione degli ultimi comizi è stata modificata, le misure di sicurezza sono state ampliate in vista dell’apertura delle urne per il primo turno delle presidenziali, domani, e le autorità che hanno lanciato un’inchiesta antiterrorismo ripetono che “l’allerta è alta”. La Francia è in stato d’emergenza da due anni, la paura di un possibile attacco terroristico è diventata parte della quotidianità, anche se è difficile ammettere e gestire questa specie di rassegnazione, ma l’attentato sugli Champs Élysées ha costretto tutti a fare di nuovo i conti con i propri timori, e ancor più con la risposta a questi timori.
I commentatori s’interrogano sull’effetto che quest’ultima (tragica) sorpresa in una campagna elettorale già parecchio instabile potrà avere sul risultato finale: ma si vota domani, non c’è modo di capire come e se si reagisce allo choc. I candidati all’Eliseo che viaggiano tutti abbastanza vicini nei sondaggi hanno dovuto reagire all’attentato in diretta, perché giovedì sera erano in tv per l’ultima intervista prima del voto. Poi ieri hanno declinato le loro reazioni in modo meno retorico e più studiato, ma senza sorprese: la più rapida è stata naturalmente Marine Le Pen, che ha ribadito che è necessario controllare le frontiere ed espellere tutti i componenti della “fiche S”, gli uomini e le donne che secondo l’intelligence costituiscono la minaccia terroristica più grande per la Francia. La leader del Front national ha parlato per prima, quando ancora il profilo dell’attentatore ucciso non era completo: Karim Cheurfi era un francese di 39 anni che abitava nella Seine-et-Marne, non era un “S” pur se notissimo alla polizia e sotto sorveglianza da febbraio. La frontiera di cui parla la Le Pen in questo caso non esiste, a meno che non si tracci un confine tra Parigi e la sua banlieue, così come il riferimento alla fiche S non è pertinente, ma il punto politico del Front national è uguale da sempre: non si fa abbastanza contro il terrorismo, bisogna espellere e vietare gli ingressi, chiudere le frontiere, stracciare Schengen. La Le Pen si sa è molto efficace, lo è stata per tutta la campagna elettorale, e anche se ora iniziano i rimpianti tra alcuni media e alcuni suoi avversari per aver lasciato che la strategia di normalizzazione funzionasse tanto bene, la chiarezza del messaggio frontista è un dato di fatto.
Gli altri si adattano e si posizionano, con Jean-Luc Mélenchon – che ha un programma su molti punti similissimo alla Le Pen, pur essendo di estrema sinistra – che consiglia di rileggere il suo programma e parla molto della Francia della pace, non cogliendo nel segno, diciamo. François Fillon, candidato gollista, non è sembrato molto lucido nelle ultime ore: ha insistito sul fatto che ci fossero altri attentati in giro per il paese, pure se le autorità avevano smentito, ha fatto un altro paio di gaffe, ha detto che la battaglia contro “il totalitarismo islamico” deve essere fatta con forza, siamo noi contro di loro, e non ha perso l’occasione di dire che Schengen deve essere rivisto. Un altro colpetto all’Europa, che resta anche in quest’ultima svolta la linea di demarcazione tra le diverse offerte politiche. Emmanuel Macron, leader di En Marche!, è l’unico pronto a cercare nell’appartenenza europea una risorsa per combattere il terrorismo, mostrando il fianco a molte critiche sulla sua ingenuità filoeuropea e galvanizzando chi, soprattutto a destra, ripete che Macron non è il nemico dei nazionalismi come sostiene lui, è soltanto antifrancese. Ma mentre tutti sottolineano quante incertezze ci sono nell’elettorato, ancor più ora nello choc dell’attentato, in realtà la scelta nelle urne non potrebbe essere più chiara, oltre che decisiva per tutti noi europei.