La vittoria della bandiera blu
L'affermazione al primo turno di Macron ci dice che l'anti europeismo si può combattere senza i trucchi del populismo ma con una formidabile iniezione di riformismo e realismo
L’Europa a caccia di buone notizie ieri ha ricevuto forse la più grande e più importante: Emmanuel Macron, leader neoeuropeista di En Marche, s’è qualificato in testa al primo turno delle presidenziali francesi, davanti alla leader del Front national, Marine Le Pen. Le prime reazioni di sostegno sono arrivate dalla Germania dove – ha raccontato l’Economist – non erano e non sono tuttora previsti piani di risposta a un’eventuale vittoria della Le Pen. Macron è il pupillo della cancelliera Angela Merkel che è stata sempe piuttosto tiepida nei confronti del cosiddetto “alleato naturale” François Fillon, con cui condivide la stessa famiglia politica a Bruxelles, preferendoli la giovane alternativa filotedesca e filoeuropea di En Marche!. La risposta alla crisi dell’Europa riparte da questo duo, ma anche Martin Schulz, candidato socialdemocratico che sfiderà la Merkel al voto di settembre, sostiene Macron, e si augura di poter lavorare presto con lui.
Le stelle macroniane si sono allineate, con un fioccare di endorsement, contro la “marea nera” della Le Pen principalmente, ma anche con la speranza che il riscatto europeista possa partire dal meno europeista dei paesi dell’Unione. La sfida ora è tutta qui, perché se al primo turno contavano le sfumature e le differenze e le appartenenze e c’era un certa resistenza al cosiddetto voto utile, adesso contano soltanto le visioni e le predisposizioni – con tutta probabilità non sentiremo troppo parlare di 35 ore, ma di globalizzazione, protezionismo, nazionalismo, patriottismo.
Nella notte elettorale, i due contendenti hanno già stabilito le coordinate del confronto: il popolo contro le élite arroganti da fronte lepenista, e l’Europa aperta e protettiva dal fronte macroniano. L’aver imposto la bandiera blu con le stelle dorate come un elemento portante della propria campagna e del proprio successo è uno degli aspetti più straordinari della cavalcata di Macron: un anno fa il suo partito non esisteva, quando En Marche! è stato creato è sembrato più un dispetto alla famiglia socialista che un’opportunità politica vera, e ora invece con quel suo ostentare la bandiera francese e quella europea insieme la marcia e Macron sono diventati il simbolo di un riscatto collettivo, che risuona in tutte le piazze europee che si riempiono, da qualche settimana, di manifestazioni pro Europa.
Macron arriva in una posizione di forza, non soltanto perché si è qualificato al primo posto ma perché il suo progetto di una coalizione trasversale ha preso corpo: una big tent che si forma da zero è un’esperienza unica. Abbiamo visto partiti populisti crescere in modo esponenziale, ma gridare contro il sistema e contro l’ordine costituito è ben più facile che voler difendere e riformare un progetto sfinito come quello europeo. La straordinarietà dell’esperienza di Macron ora però, nelle prossime due settimane, si incanalerà verso un bivio che non è affatto nuovo: popolo contro establishment, campagne contro città, protezionismo contro globalizzazione, chiusura contro apertura. Lungo queste linee si sono già tenuti scontri epocali, con una pressoché totale sconfitta dell’establishment.
E in questo caso c’è un’aggravante, che è l’Europa stessa. In Francia, nel 2005, il trattato costituzionale fu bocciato, aprendo la prima grande crisi dall’introduzione dell’euro: ancora oggi molti ricordano quel voto di protesta e quel che è venuto dopo, soprattutto, cioè l’imposizione due anni dopo sotto altre forme di un altro trattato per via parlamentare. Quella voce inascoltata è ancora molto forte in Francia, anche se è mitigata dal fatto che la stragrande maggioranza del paese, pur essendo insofferente nei confronti di Bruxelles, teme l’idea di ritrovarsi senza euro. In più c’è l’esperienza: la Brexit che ancora ci deve essere appare ogni giorno che passa più complicata e pericolosa; Trump, che ancora ieri tuittava su quanto sia “interessante” il voto francese, nella sua totale imprevidibilità scontenta, a settimane alterne, un po’ tutti. Questo potrebbe trattenere molti dal votare il fronte euroscettico che la Le Pen vuole costruire – e non va comunque dimenticato che, nonostante lo straordinario sforzo della le Pen, il Front national è ancora considerato molto tossico. Ma a pesare sulla decisione finale conterà anche la storia: non c’è stata volta in cui, chiedendo una prova d’amore ai suoi elettori, l’Europa abbia ottenuto una risposta positiva. A Macron tocca ora il compito di ribaltare anche questa storia, ricostruendo in due settimane un amore così complicato, per sé e per l’Europa.