Ivanka e Angela
A Berlino la coscienza femminile di Trump prende i fischi. Le colpe del padre ricadono sulla figlia
Ivanka non se l’era immaginata proprio così la sua prima uscita internazionale come consigliera del presidente. A Berlino, seduta fra Angela Merkel, Christine Lagarde e la regina Maxima d’Olanda, la platea ha bisbigliato fitto quando ha descritto suo padre come un “campione del sostegno alle famiglie”, e anzi ha detto che è un campione “tremendous”, l’aggettivo più usato della lingua trumpese; la folla a stragrande maggioranza femminile s’è agitata e ha fischiato quando la first daughter che agisce in vece della first lady ha continuato a tenere la linea, come se si aspettasse da un momento all’altro che voltasse le spalle al padre. Buona parte della colpa, si sa, è dei media: “Le sento le critiche dei giornali, e continuano a farle. Ma so per esperienza personale, e penso che le migliaia di donne che hanno lavorato con lui e per lui per decenni quando era nel settore privato siano testimonianza delle sue convinzioni sul potenziale delle donne, e sulle loro capacità di fare qualunque lavoro al livello degli uomini”. Altri fischi, altri occhi verso il cielo.
Parlando con i giornalisti dopo l’incontro ha scrollato le spalle sotto il vestito floreale: “Sono abituata”.
Forse però s’era illusa che presentarsi sul palco di un summit al femminile, tutto orientato sull’“empowerment” delle donne e sulla vocazione imprenditoriale, avrebbe messo il genere davanti al cognome, permettendo di presentarsi come imprenditrice di successo e orgogliosa femminista, non come figlia del tizio che si vanta di afferrare le donne “by the pussy”. Scorporare le due identità è invece impossibile anche sul palco del W20, il lato femminile del G20, dove Merkel l’ha invitata non si sa se per allacciare un rapporto cordiale o se per esporla al pubblico ludibrio dopo che il presidente non le ha nemmeno dato la mano alla Casa Bianca. La moderatrice del panel, Miriam Meckel, direttrice di WirtschaftsWoche, ha esordito con un tono da imboscata: “Vorrei domandarti qual è il tuo ruolo e chi rappresenti, tuo padre come presidente degli Stati Uniti, il popolo americano o il tuo business?”.
Un modo gentile per chiarire che le colpe del padre ricadono sulla figlia, e a costo di cedere all’interiorizzazione del patriarcato, il baubau del femminismo d’ogni ondata, la moderatrice ha continuato a guardare Ivanka e a vedere una Donald con la gonnella di Adrienne Vittadini, come da furbesca operazione di rebranding ideata per aggirare i conflitti d’interessi. Molti non le hanno mai perdonato il messaggio mandato ai giornalisti di moda per piazzare il braccialetto da diecimila dollari che aveva usato nella sua prima intervista televisiva dopo le elezioni.
L’anima liberal del presidente
A Berlino Ivanka c’era arrivata con l’autorevole introduzione di un op-ed del Financial Times scritto a quattro mani con il presidente della Banca mondiale, Jim Yong Kim, sulla necessità di investire sulle donne, ancora troppo escluse dalla forza lavoro a livello globale: “La nostra sfida ora è di lavorare insieme – nel settore pubblico e privato – per iniziare a investire con decisione sulle donne”. La missione ha ricevuto l’immancabile benedizione via Twitter del first father ed è stata eseguita sotto la supervisione di Dina Powell, strettissima alleata di Ivanka che occupa un posto cruciale al Consiglio per la sicurezza nazionale e da anni si muove nell’area della diplomazia femminile, settore quasi interamente occupato da voci progressiste. Di fronte al rigurgito antitrumpista nel circolo merkeliano, Ivanka ha fatto un aggraziato passo indietro, ammettendo che sta imparando soltanto ora a muoversi in politica, ha tutto da imparare, la strada è ancora lunga.
Eppure questi primi (nemmeno) cento giorni, ha detto, “sono stati un viaggio incredibile”, e il suo ruolo in questo viaggio si sta definendo: mettere un argine liberal agli istinti paterni. Quando emergono a sorpresa correzioni progressiste ai provvedimenti della Casa Bianca c’è sempre lo zampino della first daughter e di suo marito, Jared Kushner, che si tratti della maternità retribuita o degli angoli smussati sui cambiamenti climatici. Presto arriverà anche il nuovo libro imprenditorial-femminista: “Women who work”. E’ naturale che fra le mansioni di Ivanka ci sia anche quella di andarsi a prendere fischi in Europa.
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